Impresa: crisi o sviluppo ?

"L' impresa: crisi o sviluppo ?"
Per riscoprire un'etica d'impresa.
La Sussidiarietà  come risposta ad un bisogno

Di seguito pubblichiamo il documento di Ivan Simeone, la scheda del progetto curata dalla dott.ssa Gargiulo, gli interventi di Mons. Abbondi e di Pugni, la Sussidiarietà nella Regione Lazio e i dati.
Il progetto è in collaborazione con la Camera di Commercio di Latina.



Scheda tecnica progetto sussidiarietà 2013.

“L’ impresa: crisi o sviluppo ?”.

La sussidiarietà come risposta ad un bisogno.
Per riscoprire un’etica nell’attività d’impresa.


La difficile situazione economica mostra quanto la crisi stia pesando sull’imprenditoria: nel Lazio le aziende denunciano una condizione di pesante sofferenza economica e circa 80mila lavoratori sono stati messi in cassa integrazione. Le previsioni non sono migliori si ipotizza che nel 2013 le insolvenze aziendali supereranno quelle del 2009, considerato l’anno più difficile dall’inizio della crisi.
Non si può sperare in un deus ex-machina che risolva la crisi né si può aspettare che questa passi da sola.

Pertanto, il particolare momento economico spinge le nostre imprese e gli operatori a “ragionare” e confrontarsi sul senso della sussidiarietà, rapportato alle attività d’impresa e alle dinamiche economiche, nonché – da più parti - si cominciano ad accendere i riflettori su un impegno più etico del mondo produttivo.
Il principio di sussidiarietà, infatti, esalta il valore dei corpi intermedi in grado di svolgere una funzione sociale o di soddisfare un bisogno, traducendo nella vita politica, economica e sociale una concezione globale dell’essere umano e della società.

Tali argomentazioni sono state discusse nei tre focus organizzati dalla Confartigianato in sinergia con imprenditori nei giorni scorsi e, precisamente, il 24/04 ad Aprilia, il 29/04 a Fondi e il 30/04 a Latina.

L’obiettivo principale del Convegno di Latina del 14 maggio 2013, è stato quello di evidenziare un percorso etico-economico ai soggetti che operano nei settori del lavoro e dell’impresa.

Il modello di intervento che si propone si pone l’obiettivo di sottolineare il prevalere dell’etica sulle dure leggi dell’economia, cercando di rendere i partecipanti come protagonisti attivi dell’iniziativa in una logica di tipo collaborativo e di confronto.
Ancora, di creare momenti di condivisione delle esperienze e di individuare delle pratiche comuni di aiuto reciproco nell’affrontare problemi quotidiani relativi all’imprenditoria, soprattutto rivolta alle piccole e medie imprese.

L’iniziativa si propone di costruire sinergie tra le formazioni sociali e le istituzioni, nell’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà sociale, economica e politica in modo che ciascuno, secondo il suo ruolo, contribuisca a proporre di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono il pieno sviluppo.

Una impresa che vede nel mercato non un “campo di battaglia” nel quale il successo passa attraverso l’annientamento dell’avversario (sia esso concorrente, fornitore) o lo sfruttamento del collaboratore, ma che sappia riconoscere e assicurare l’esistenza altrui in un cammino di comune crescita verso il benessere non solo economico.

La sussidiarietà dovrebbe diventare leva dell’organizzazione dell’impresa per conseguire più competitività, in quanto può costituire il legame strategico tra l’in e l’outsourcing, che assicura la massimizzazione dell’efficacia dei processi.

Dott.ssa Marina Gargiulo
Vice Presidente
Confartigianato Donne Impresa Latina
e consulente formazione.





“La Sussidiarietà come risposta ad un bisogno !”
Riflessione di Ivan Simeone
(Direttore “Confartigianato Imprese Latina”)


1) Perché questa iniziativa ? Perché questo progetto ?

Quando è scoppiata, qualche anno fa, questa grande e profonda crisi economica, era appena stata promulgata l’ Enciclica “Caritas in Veritate” che, all’epoca, fece molto scalpore per gli argomenti e per l’attualità del momento.
Ancora oggi, questo importante documento è una vera “bussola” per orientarsi nel quotidiano.
Non solo Enciclica “economica” ma un documento complesso e realmente “sociale”.

Caritas in Veritate (CV)….Una Enciclica che va ben oltre la valenza “economica” ma che guarda a tutta la realtà sociale; una realtà che –per essere vera ed autentica- deve basarsi sulla Verità ed è in questa chiave di lettura che bisogna, mai come in questi momenti, confrontarsi con le logiche del mercato, della globalizzazione, della responsabilità.

Nell’Enciclica di Benedetto XVI si parla di “economia integrata” che si abbina necessariamente al concetto di “imprenditorialità” aperta e non rinchiusa nelle strette logiche esclusive del profitto finalizzato a se stesso. Si parla di imprenditorialità che deve avere certamente una sua professionalità ma anche una logica “umana”.
Nella CV si parla di sussidiarietà, riprendendo la tradizione e l’insegnamento del magistero, una sussidiarietà che “è prima di tutto un aiuto alla persona attraverso l’autonomia dei corpi intermedi. Tale aiuto viene offerto quando la persona e i soggetti sociali non riescono a fare da se ed implica sempre finalità emancipatrici, perché favorisce la libertà e la partecipazione in quanto assunzione di responsabilità…”

Solidarietà, sussidiarietà, no profit, economia di comunione (vedi gli interessanti saggi di Chiara Lubich “L’ economia di comunione” e quello di Luigino Bruni “Benedetta Economia” editi da Città Nuova), bene comune…tutti puzzle del medesimo disegno che, se approfondito e attualizzato nelle scelte economiche attuali e delle scelte politiche (cosa questa purtroppo difficile visti i tempi e la qualità della politica di oggi) potrebbe risollevare la nostra comunità e cominciare a dare un senso nuovo e diverso al nostro lavoro.

In quello stesso periodo, in “Confartigianato Latina”, organizzammo un primo semplice incontro con alcuni amici imprenditori e professionisti per analizzare l’Enciclica Caritas bin Veritate. Questo appuntamento riscosse molto interesse, tanto da far partire quelli che oggi chiamiamo “gli incontri del Sabato”…..incontri mensili, un sabato mattina, appuntamenti informali per analizzare i problemi del momento ma con un’ottica differente, con “sguardi” diversi !

Da questi semplici appuntamenti, nacque il voler cercare di affrontare le dinamiche aziendali non solo con l’erogazione di servizi o con l’attività sindacale (cose queste certamente importantissime) ma valorizzando sempre di più il fattore “persona”; il bisogno dell’ uomo imprenditore che, nella microimpresa e nell’azienda artigiana, è egli stesso lavoratore.

Da questi momenti di confronto sono poi scaturite nuove iniziative e rapporti, come la nostra partecipazione, con diverse imprese della provincia di Latina, al Meeting Internazionale di Rimini, lo scorso Agosto, incontri sulla sussidiarietà, sull’etica…..analizzammo e commentammo alcuni scritti di Luigi Giussani, ci confrontammo sul documento legato alla crisi economica elaborato da CL per il mondo imprenditoriale…..

Oggi, dinanzi al perdurare di questa “crisi” ci siamo domandati cosa fare, come poter aiutare le nostre attività oltre i normali servizi di assistenza o sindacali.

Abbiamo deciso di dare vita ad un piccolo progetto organico, supportati dalla Camera di Commercio, per cercare di trasmettere un input di positività e di attiva sinergia. Abbiamo dato vita ad un questionario, per rafforzare un dialogo con le attività d’impresa e cercare di monitorare alcune priorità. Abbiamo dato vita ad alcuni focus group sul territorio provinciale tra imprenditori, ed oggi questo momento di confronto…punto di arrivo ma anche momento di ripartenza.

Noi crediamo che questa crisi si debba affrontare con un “occhio nuovo”, con un “atteggiamento” nuovo e con la consapevolezza che, passato il momento di emergenza, tutto non tornerà più come prima ma, probabilmente, dovremmo affrontare le dinamiche aziendali e del lavoro con maggior consapevolezza e con una maggior profondità valoriale che si affiancherà alle logiche del profitto e della produttività.

I problemi che attanagliano le nostre piccole imprese ormai li conosciamo bene; in ogni incontro, convegno o tavolo istituzionale li ripetiamo sempre….parole al vento: troppa burocrazia anche negli Enti locali, problemi sulle dinamiche della formazione, accesso al credito…ma molte sono anche le responsabilità dell’imprenditore che non riesce ancora a fare rete e aspetta sempre che qualcuno o qualcosa intervenga…..

Oggi, sul tavolo della discussione, ci sono in gioco termini che forse dovremmo meglio comprendere e su qui riflettere. Oggi sentiamo parlare di etica d’impresa, di responsabilità, di sussidiarietà……. Ma di cosa stiamo parlando ?


2) Crisi: sfida per un cambiamento….

E’ questo il primo momento di confronto. Il documento, a cura di Comunione e Liberazione, che analizzava il momento della crisi  in un’ottica di “cambiamento”. Un momento di criticità che non deve essere subito ma affrontato pro positivamente…”La realtà ci rimette continuamente in moto, provocandoci a prendere posizione di fronte a ciò che accade..” una vera chiamata a responsabilità attiva per tutti noi operatori, imprenditori… Il momento che stiamo vivendo è anche un invito a guardare “la crisi come opportunità: essa, infatti, costringe a rendersi conto del valore di cose a cui non si pensa finchè non vengono meno, per esempio la famiglia, l’educazione, il lavoro…”

Ecco che nel nostro agire bisogna riscoprire il senso vero delle cose, del lavoro in azienda, dell’attività in ufficio o nell’impresa…una visione di responsabilità nuova e condivisa.
In tutto questo anche la politica, i singoli Amministratori pubblici hanno le loro “responsabilità” per il bene comune e non l’interesse di parte.


3) Cosa è la sussidiarietà ?

Parlare di Sussidiarietà è una impresa coinvolgente, per gli argomenti trattati e per la profondità valoriale; un problema che riguarda tutti noi, cittadini o imprese, per dare risposta ad un bisogno.
Quando ci confrontiamo con questo concetto, come in quello di “solidarietà”, dobbiamo riportare il nostro pensiero all’esperienza del cattolicesimo sociale e liberale che ha come suo punto di riferimento Giuseppe Toniolo.

Oggi la sussidiarietà è un termine, purtroppo, spesso abusato ma poco attualizzato nel quotidiano.
Uno dei massimi studiosi del fenomeno è il Prof. Giorgio Vittadini, Presidente della “Fondazione per la Sussidiarietà” e docente universitario.
Proprio Luglio del 2012 ha dato alle stampe, per la BUR, una raccolta di saggi sulla Sussidiarietà (“La sfida del cambiamento”) che sono un punto di riferimento per tutto il dibattito in corso, come è da segnalare l’importante intervento dell’allora Ministro Corrado Passera al Meeting internazionale di Rimini (vedi “Fatti per l’ infinito” Ed. BUR novembre 2012) che, partendo dalla riflessione che “il nostro modello  (di welfare) è ancora troppo concentrato sugli insider del mondo del lavoro e troppo poco dedicato a chi è invece fuori” evidenzia che vi è un problema di fondo, “di un welfare che è molto orientato ai problemi dell’invecchiamento e molto meno, troppo poco, ai temi della denatalità, della famiglia, dell’inclusione sociale, dell’employability inglese…….E’ il momento –conclude Passera- di riformulare il welfare anche in termini di orientamento (…) per questo emerge la necessità di muoversi decisamente verso il cosiddetto welfare sussidiario….un welfare in cui esiste un effettivo pluralismo di offerta.”
Passera poi passa a ragionare sull’emergenza del momento: la produttività…”Il nostro problema principale di competitività, e quindi di crescita, si chiama produttività.

Il Prof. Giorgio Vittadini, evidenzia una precisa indicazione, anche operativa, sul concetto di sussidiarietà ed in particolare sul “welfare sussidiario”, dove la Famiglia in quanto tale è un punto focale e sempre un ammortizzatore sociale, come lo è la micro impresa che, quasi sempre, è a dimensione sempre familiare.
Giorgio Vittadini parte analizzando l’attuale situazione di criticità ed evidenzia il problema di aver trascurato il ruolo dei corpi intermedi, delle associazioni, delle fondazioni.
Secondo il Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, vi sono alcuni concetti guida che accompagnano la sussidiarietà: la famiglia come fattore di equità e con profonda funzione di ammortizzatore sociale, le reti societarie del “terzo settore”, le organizzazioni non profit, le associazioni di volontariato e il welfare aziendale, il tutto con un denominatore comune quale è il concetto di “libertà di scelta” e di solidarietà…”la sussidiarietà –ci rammenta Vittadini- , espressione dell’inalienabile libertà umana, è manifestazione particolare della carità, ma senza la solidarietà scade nel particolarismo sociale, mentre la solidarietà senza la sussidiarietà scade nell’assistenzialismo che umilia il portatore di bisogno.”

Superare la crisi senza sacrificare nessuno…….

Se andiamo leggermente in profondità (ma non troppo !) ci accorgiamo che il termine “sussidiarietà” è poliedrico e numerosi sono gli studi di carattere giuridico, sociale ed economico, che lo analizzano sotto ogni punto di vista.
E’ certamente un concetto nuovo che è da poco comparso nei nostri ordinamenti ed ancora non si è compreso appieno il modo di attualizzazione quotidiana.

Nel saggio curato dal Prof. Vittadini numerose sono le sollecitazioni rette da un pragmatismo che ci impone un “rimboccarci le maniche” ut operetur.

Dopo una attenta analisi dell’attuale momento economico, si comincia un percorso che ha come let motiv il welfare sussidiario, partendo proprio dai fondamenti antropologici del principio di sussidiarietà e dal binomio solidarietà-sussidiarietà, il mondo della cooperazione e dei servizi sociali come i servizi nella pubblica utilità, il ruolo attivo della famiglia che deve oggi essere ripensata in prospettiva sussidiaria…. vero ammortizzatore sociale dei nostri tempi oggi che è rimessa in continua discussione come Valore…..politiche “family friendly”, non mancando dotti richiami al rapporto con l’impresa e con gli aspetti squisitamente costituzionali e sui “quasi mercati”.

Ecco che vengono analizzati i diversi modelli di welfare….

*      Modello command and control
*      Modello voice
*      Modello choice and competition
*      Welfare mix
*      Welfare society
*      Welfare privato (o secondo welfare)
*      Welfare sussidiario (oltre i “quasi mercati”)

Le aree di intervento specifico, per le dinamiche welfare-sussidiarie, si possono sintetizzare in cinque: previdenza, sanità, assistenza, ammortizzatori sociali ed istruzione. Nello specifico, l’intervento sussidiario nasce dal “basso”, dai corpi intermedi della società. La sussidiarietà è una concezione prettamente occidentale ed europea e nasce dal pensiero sociale della Chiesa.
“Tutti i bisogni sociali , ci rammenta Vittadini, sono più efficacemente affrontati con azioni dal basso, cioè da soggetti naturalmente più vicini al bisogno e più in grado di accompagnare l’azione delle persone perché diventino protagoniste di un possibile cambiamento del loro destino”.
In tutto questo “discorso” un aspetto essenziale è proprio il “no profit” che, giorno dopo giorno, sta assumendo un ruolo determinante.
Ecco che ormai si parla di un welfare sussidiario che è poi un mix di interventi dello Stato supportato dalle organizzazioni di base e dal terzo settore. Uno dei massimi “attori” è proprio l’ istituzione “famiglia” che oggi sta assumendo sempre più un valore di “mediazione sociale”, fattore di equità e ammortizzatore sociale, con il mondo del volontariato e quello che si chiama il welfare aziendale, altro punto focale di intervento e di analisi su cui aprire un confronto non secondario.

Pochi sanno che la “sussidiarietà” è entrata sia nella nostra Costituzione italiana nel 2001 (Art. 118 della Costituzione – riforma del titolo V) che nel diritto comunitario (inserito nel Trattato di Maastricht del 1992) ed è, insieme alla solidarietà, uno degli assi portanti del magistero sociale della Chiesa cattolica.

Il termine lo focalizza molto bene Giovanni Paolo II nell’Enciclica “Centesimus annus” del 1991 quando dice: “…deve essere rispettato il principio di sussidiarietà: una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune”.

Da questo concetto scaturisce poi l’attualità dei corpi intermedi, dei vari soggetti sociali associazionistici, cooperazione….tutto un mondo legato al no profit che di fatto unisce il semplice cittadino, preso come individuo, come singolo, allo Stato.
Una “sussidiarietà orizzontale” basata sul presupposto secondo cui alla cura dei bisogni collettivi e alle attività di interesse generale provvedono direttamente i privati cittadini (sia come singoli che come associati) e i pubblici poteri intervengono in funzione sussidiaria, di programmazione, di coordinamento…..

Il magistero sociale della Chiesa Cattolica (DSC) fa della sussidiarietà un punto focale.

Se andiamo a scorrere il compendio della DSC, valido strumento operativo e formativo sia per i cattolici che non, ci accorgiamo che il principio della sussidiarietà è inserito nei primissimi capitoli dedicati proprio ai principi basilari della DSC.
L’ impegno “sociale” viene evidenziato con Leone XIII e con la ormai famosa Enciclica “Rerum Novarum”. Tutta la DSC si è poi andata a sviluppare, decenni dopo decenni, e ha trovato nell’insegnamento di Giovanni Paolo II, oggi Beato, un punto di riferimento ormai essenziale, con tutte le Sue esternazioni e le Sue Encicliche.

Per la DSC il punto di partenza è semplice e ben chiaro: “…tutte le società di ordine superiore devono porsi in atteggiamento di aiuto, quindi di sostegno, promozione, sviluppo, rispetto alle minori. In tal modo, i corpi sociali intermedi (altro concetto fondamentale e da valorizzare mai come in questi periodi di crisi) possono adeguatamente svolgere le funzioni che loro competono, senza doverle cedere ingiustamente ad altre aggregazioni sociali di livello superiore, dalle quali finirebbero per essere assorbiti e sostituiti e per vedersi negata, alla fine, dignità propria e spazio vitale.”

Ecco che ad un concetto positivo (ciò che si deve fare), vi è un concetto negativo (quello che NON bisogna fare):”… lo Stato deve astenersi da quanto restringerebbe, di fatto, lo spazio vitale delle cellule minori ed essenziali della società. La loro iniziativa, libertà e responsabilità non devono essere soppiantate”.

Ma la DSC va oltre all’enunciazione di principi, ma si inserisce direttamente nelle dinamiche pratiche del quotidiano.
Il principio di sussidiarietà coinvolge direttamente i corpi intermedi (associazioni, sindacati, organizzazioni no profit, associazioni di famiglie…..) la famiglia in quanto soggetto politico e sociale, la valorizzazione della Persona….e il “bene comune” (altro oggetto misterioso che compare solo nei convegni ma ci si dimentica di vivificarlo nelle scelte politiche quotidiane), deve rimanere sempre il criterio di discernimento circa l’applicazione o meno del principio della sussidiarietà.

Certo ora bisognerebbe andare ad analizzare il concetto di “bene comune” (cui rimandiamo alla lettura del saggio di Ibanez Langlois “La dottrina sociale della Chiesa” edito da ARES) e di cosa sia realmente la “solidarietà” che si muove in correlazione con il principio sussidiario, ma si andrebbe troppo lontano.

Uno dei punti di riferimento per tutta l’analisi della DSC è la rivista “La Società”, rivista scientifica della Fondazione “Giuseppe Toniolo” di Verona.


4) Impresa ed etica ?

Quale rapporto tra impresa ed etica nella piccola impresa ?
Spesso quando parliamo di etica ci viene alla mente il “codice etico” che ormai quasi tutte le grandi aziende e/o organizzazioni adottano un codice di comportamento e valoriale certamente importante e valido ma, forse, quando ci rivolgiamo all’impresa familiare, alla piccola e piccolissima azienda dovremmo orientarci sulla persona dell’imprenditore e/o dello stesso lavoratore.

Quale comportamento etico  sul lavoro ?
Quale senso dare al nostro lavoro quotidiano ?

Qui mi viene alla mente la domanda che si pone Tischner : “ ….Quale è la nostra idea di lavoro ?”

Sono questi gli interrogativi cui dovremmo riuscire a rispondere.
Forse, laicamente parlando, bisognerebbe riuscire ad andare oltre al solo (se pur importantissimo e fondamentale) aspetto legato al salario… ai soldi che si guadagnano ma dare anche un Valore alto al proprio impegno quotidiano in azienda. Lavorare per un progetto, per un disegno più a lunga portata e non che si concluda con la sola “mensilità”.

Qui il maestro è l’ amico Paolo Pugni, già direttore marketing ed oggi consulente aziendale, autori di diversi saggi economici ed umanistici,  che nel suo saggio “Lavoro & Responsabilità” (edito dalle edizioni ARES di Milano) ha ben evidenziato queste dinamiche e questi percorsi possibili.
“L ‘etica –ci rammenta Pugni riprendendo l’insegnamento aristotelico- non è una raccolta di codici e di affermazioni altisonanti da tener appese al muro o da esporre nei siti aziendali, o codici di norme per risolvere i dilemmi; è piuttosto qualche cosa di correlato al carattere sviluppato attraverso azioni libere e razionali…..etica come la guida per la realizzazione della pienezza umana e l’eccellenza della persona”.


5) Le nostre piccole imprese….

Tutto ciò fa riflettere non poco sul ruolo e il futuro delle nostre piccole imprese; aziende familiari, artigianali ….. imprese che producono utile e occupazione ma che, di contro, non vengono mai considerate come si dovrebbe, relegate a situazioni residuali.

Le sfide lanciate da questa crisi ci impongono un riposizionamento del fare impresa. Fino ad oggi un modello economico fondato esclusivamente –come evidenziato da Maria Cristina Marchetti in “Sfide ed opportunità del tempo di crisi”- su una concezione individualistica e legata al profitto.
Oggi bisogna riuscire ad “andare oltre”.

Punto focale è il “saper fare” ecco che vi è una dinamica che porta necessariamente alla concretezza del lavoro, alla produttività, alla partecipazione della produzione dell’impresa.
Le piccole imprese che costituiscono in Europa come in Italia oltre il 90% delle aziende.

Intuizioni vi sono ma non vengono poi recepite nel tessuto politico; vedi lo Small business Act del 2008 che ancora –se pur recepito dall’ordinamento italiano- rimane materia da convegno. Ecco che si fa pesante la responsabilità della politica e del politico di turno che non riesce oggi a gestire queste dinamiche di cambiamento.

Oggi dinanzi a queste “turbolenze” economiche –che mettono in crisi profonda molte piccole attività d’impresa che oggi sono realmente costrette a chiudere, bisogna affrontare il quotidiano diversamente. Bisogna non far crescere solo l’imprenditore in quanto tale, ma la stessa Azienda come soggetto giuridico per meglio strutturarla dinanzi alle varie Basilea 1, 2 e 3.

Bisogna guardare alla qualità della produzione e puntare su una nuova sostenibilità economica, ambientale e sociale.
Bisogna dare maggior spazio alla produzione rispetto ai servizi….tutti input su cui riflettere.
I.S.


Questionario delle  piccole imprese pontine.
Risultati e analisi. Dati del territorio 2012/2013


Premessa.

La prima fase svolta del progetto concerneva in un’analisi e relativa  raccolta delle informazioni sulle problematiche imprenditoriali del tessuto economico locale, tramite la distribuzione e conseguente  compilazione di un questionario.
Nello stesso, sono state evidenziate tematiche relative alle  nuove linee guida della riforma del lavoro, alle maggiori difficoltà nella gestione di una azienda, alla complessità a reperire fonti di finanziamento di qualsiasi natura, alle politiche di abbattimento dei costi. E non solo. La somministrazione ha permesso di fotografare la realtà delle piccole e medie imprese pontine.
Di seguito l’elaborazione statistica dei risultati (su un campione di 100 imprese):

Tabella 1.

Dati relativi al Mercato del Lavoro

Settore di attività
Conoscenza delle riforme del mercato del lavoro
Necessità di riqualificare il personale dipendente
Conoscenza del Fart (Fondo artigiani) per la formazione dei lavoratori
Attività manifatturiere
65%
62%
12%
Edilizia e costruzione
72%
84%
11%
Commercio all’ingrosso e al dettaglio
71%
79%
9%
Trasporto e magazzinaggio
68%
63%
8%
Attività di servizi
74%
74%
8%
Attività finanziarie ed assicurative
73%
72%
10%
Attività scientifiche, tecniche e professionali
77%
75%
7%
Servizi di alloggio e ristorazione
69%
70%
6%
Servizi di informazione e comunicazione
71%
69%
5%


Nota. Dalla prima analisi effettuata risulta che quasi la totalità delle imprese è a conoscenza delle riforme del mercato del lavoro ed esprime  la necessità di formare i propri lavoratori. Si evidenzia, però, una scarsa informazione sul territorio in merito all’opportunità di poter usufruire dei fondi per la formazione

Tabella 2.

Dati relativi alla competitività delle imprese

Settore di attività
Volontà di sviluppare innovazione di prodotto e/o di processo
Necessità di creare nuove opportunità in mercati esteri
Interesse a partecipare a meeting/ convegni/work shop
Attività manifatturiere
67%
62%
12%
Edilizia e costruzione
81%
84%
11%
Commercio all’ingrosso e al dettaglio
75%
79%
9%
Trasporto e magazzinaggio
69%
84%
8%
Attività di servizi
76%
86%
8%
Attività finanziarie ed assicurative
78%
72%
10%
Attività scientifiche, tecniche e professionali
77%
76%
7%
Servizi di alloggio e ristorazione
80%
61%
6%
Servizi di informazione e comunicazione
75%
89%
5%



Nota. Dalla seconda analisi effettuata risulta un forte interesse da parte delle imprese ad essere competitive nel mercato in cui operano e conseguentemente si manifesta una necessità di acquisire ulteriori quote di mercato. Tale analisi denota un atteggiamento comunque positivo e propositivo da parte degli imprenditori locali. In particolare, si evidenzia peraltro che la maggior parte degli intervistati opera in sistema di qualità certificata.



Tabella 3.


Dati relativi alle problematiche connesse alla gestione dell’impresa



Settore di attività
Difficoltà a reperire fonti di finanzia mento
Mediocre operato della Pubblica amministrazione
Supporto di altri attori del sistema (consulenti, associazioni di categoria, sindacati)
Attività manifatturiere
77%
64%
17%
Edilizia e costruzione
81%
85%
11%
Commercio all’ingrosso e al dettaglio
76%
79%
14%
Trasporto e magazzinaggio
78%
83%
18%
Attività di servizi
76%
79%
17%
Attività finanziarie ed assicurative
79%
72%
10%
Attività scientifiche, tecniche e professionali
77%
75%
17%
Servizi di alloggio e ristorazione
81%
77%
16%
Servizi di informazione e comunicazione
75%
80%
21%



Nota. Dalla terza analisi effettuata risulta che il sistema economico locale non si sente sufficientemente supportato  dalle Istituzioni sia pubbliche che private, che soffre per ottenere liquidità e si  denota quindi una sorta di “solitudine” imprenditoriale.


Riferimenti utili:

*      Benedetto XVI – Enciclica “Caritas in Veritate”
*      Compendio della dottrina sociale della Chiesa – Il principio della sussidiarietà – Cap. IV
*      Paolo Pugni – “Lavoro & Responsabilità” Ed Ares
*      Paolo Pugni – “L’ anima del Leader” Ed. Ares
*      Fazio – Donati – Fitte – “Il lavoro all’inizio del nuovo secolo” Ed. Edizioni Lavoro
*      Jòzef Tischner – “Etica della solidarietà e del lavoro” Ed. ITACA
*      Giulio Sapelli – “Elogio della piccola impresa” Ed. Il Mulino
*      Josè Luis Illanes – “La santificazione del lavoro” Ed. Ares
*      Violini – Vittadini – La sida del cambiamento – Ed. BUR

Documentazione di riferimento


*      “Impresa sociale, crisi e sussidiarietà”. (di Anna Chiara Giorio) Osservatorio ISFOL n. 3 e 4 2011
*      “La responsabilità sociale dell’impresa nel mercato globale”. (di Dario Velo) Sinergie  60/03
*      “La sussidiarietà tra poteri pubblici e formazioni sociali religiose”. (di Nicola Colaianni)
*      “Sulle funzioni pubbliche e sussidiarie delle libere professioni” (di Luca Antonini) Ed. Fondazione Magna Carta.
*      “Culture e soggetti della sussidiarietà”. (di Giuseppe Cotturri) in Sussidiarietà Orizzontale anno 1 n. 2.
*      “Il significato politico della sussidiarietà…” (di Bruno Angelini) Diocesi di Rimini – 2008
*      “Lo sviluppo dell’impresa familiare: le sfide della sussidiarietà”. (di Giovanni Marseguerra) in Rivista Atlantide.
*      “Il Consiglio di Stato, il principio di sussidiarietà orizzontale e le imprese”. (di Giovanna Rattano), In Rivista Giurisprudenza Italiana.
*      “Education, lavoro, impresa: collaborare nell’interesse dei giovani”. (di Gianfelice Rocca) in Ragionamenti.
*      “Sussidiarietà e volontariato” (di Renato Frisanco)
*      Rapporto sulla sussidiarietà 2010 : “Sussidiarietà e …..istruzione e formazione professionale”. Fondazione Sussidiarietà.
*      Rapporto sulla sussidiarietà 2008: “ Sussidiarietà e ….Piccola e media Impresa”. Fondazione Sussidiarietà.
*      Rapporto sulla sussidiarietà 2007: “ Sussidiarietà e …riforme istituzionali. Fondazione Sussidiarietà.
*      Rapporto sulla sussidiarietà 2006: “ Sussidiarietà e … ed educazione. Fondazione Sussidiarietà.
*      Rapporto sulla sussidiarietà 2009: “ Sussidiarietà e …Pubblica Amministrazione locale. Fondazione Sussidiarietà.
*      Il buon governo e il cambiamento. Quaderno CdO 2012



Applicazione del principio di sussidiarietà
nella Regione Lazio


Premessa e riferimenti normativi

La legge costituzionale n. 3 del 2001 ha ampliato gli spazi dell’autonomia regionale mettendo così la Regione nelle condizioni di costruire moduli per il proficuo coinvolgimento degli enti locali laziali nell’azione di governo e di poter conferire loro maggiori competenze amministrative.
La Repubblica delle autonomie, con una governance multilivello alla quale partecipano i comuni, le provincie, le istituende città metropolitane, le regioni, lo Stato e l’Unione europea, deve tradurre questo nuovo impianto istituzionale in un incremento di semplificazione decisionale, trasparenza degli interessi e partecipazione delle comunità, fuggendo così il rischio che la molteplicità dei soggetti coinvolti si traduca in inefficienza dell’azione di governo.
Si tratta di una sfida che oggi affrontiamo nella consapevolezza che un Paese dove le decisioni di chi esercita il governo della cosa pubblica avvengono in modo più veloce e al tempo stesso più partecipato è anche un Paese più competitivo nell’area globale e più in sintonia con la propria comunità.
La presente analisi evidenzia i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza enunciati nell’art. 118 della Costituzione e a loro volta richiamati dall’art. 16 dello Statuto regionale.
Come è ben noto, la radicale riforma che ha riguardato il Titolo V della Parte seconda della Costituzione ha tra l’altro comportato una profonda modifica dei principi che sovrintendono alla ripartizione della titolarità e dell’esercizio delle funzioni amministrative tra i diversi livelli di governo. Il citato art. 16 dello Statuto, in particolare, stabilisce che le funzioni amministrative relative alle materie di competenza legislativa della Regione debbano, di norma, essere attribuite dalla legge regionale ai comuni.
L’applicazione di tale regola incontra il limite dell’accertata esigenza, oggetto di valutazione da parte del legislatore regionale, di garantire l’esercizio unitario delle funzioni amministrative, in funzione «dell’efficace tutela degli interessi dei cittadini e della collettività».
Ricorrendo detto presupposto, da dover vagliare alla luce delle specifiche funzioni e valutata la concreta capacità e idoneità dei comuni a far fronte ai nuovi compiti, potrà essere possibile, da parte della Regione, conferire funzioni amministrative alle province o ad altri enti locali, ovvero riservare a se stessa il loro esercizio.
In tale ultimo caso, la Regione, oltre che operare direttamente avvalendosi delle proprie strutture, può servirsi in primo luogo dell’attività delle agenzie di cui all’art. 54 St. – che ancorché dotate di forme di autonomia gestionale, organizzativa e contabile, costituiscono delle “unità amministrative” sottoposte al potere direttivo, al controllo e alla vigilanza da parte della Giunta – nonché ricorrere all’istituzione di enti pubblici a carattere strumentale ovvero prevedere la partecipazione in società o in altri enti soggetti alle norme del codice civile.

Modelli di governance regionale

Dall’analisi congiunta dei dati normativi emergono diversi modelli possibili di rapporto tra la Regione e gli enti locali, in una sorta di climax ascendente di delega di funzioni ed evidentemente di spostamento di risorse:
1) modello regionale con partecipazione degli enti locali (e conseguente conferimento di funzioni);
2) modello regionale con conferimento solo di alcune funzioni;
3) modello regionale con conferimento di funzioni a soggetti privati;
4) modello regionale con attribuzione del compito indifferentemente a enti locali e a soggetti privati
5) modello con il quale la Regione fa tutto da sé.

Il sistema laziale degli enti locali

Per quanto riguarda le caratteristiche del sistema degli enti locali del Lazio, va detto che i dati evidenziano la sua forte sperequazione demografica e territoriale. Dei 378 comuni, ben 252 sono sotto i 5.000 abitanti, dunque piccoli comuni, e l’idea del conferimento delle funzioni amministrative ai comuni non può non scontare questo dato almeno in termini di necessaria differenziazione; la Regione, quindi, dovrà ben tenere presente tale dato nella misura in cui potrà conferire funzioni ai comuni più grandi e, in luogo di quelli piccoli, o incentivare le unioni di comuni (legge n. 122 del 2010) o alle province. In più, la dimensione romana appare assorbente: il 73,1% dei residenti del Lazio vive nella Provincia di Roma.

Considerazioni

Le agenzie regionali costituiscono solo una parte del complessivo sistema amministrativo regionale, il quale è infatti composto da una pluralità di modelli organizzativi che, al di là delle strutture amministrative regionali in senso stretto, comprende una molteplicità di enti strumentali della Regione, società per azioni controllate o partecipate e altri enti privati. Cionondimeno, anche alla luce del quadro normativo analizzato, risulta possibile formulare qualche riflessione conclusiva sul ruolo delle agenzie nella Regione Lazio, cercando di valutare, in particolare, se le attività da esse svolte risultino coerenti con le sfere di competenza degli altri enti locali laziali oppure se, al contrario, si verifichino casi di sovrapposizione di competenze e di funzioni.

Il rischio, pertanto, è che la “proliferazione” di agenzie regionali, così come degli altri enti strumentali della Regione, possano essere di ostacolo a una corretta applicazione dei principi di sussidiarietà e di decentramento, a svantaggio degli altri enti territoriali regionali le cui competenze si trovano.

In tal modo,  se da un lato si deve garantire l’autonomia organizzativa regionale, che si esprime nella libera scelta dei modelli organizzativi da parte della Regione, d’altro canto l’esercizio di tale autonomia dovrebbe bilanciarsi con il principio del decentramento e con quello di sussidiarietà. Alla luce di quanto detto, un eventuale contrasto tra i diversi principi, quello dell’autonomia organizzativa da una parte e quelli del decentramento e della sussidiarietà dall’altra, non può che trovare il giusto bilanciamento grazie a un altro principio, ossia quello di leale collaborazione.

È stata data un’effettiva attuazione a quanto disposto dalla l.r. 14/1999? Vi è stata una reale distribuzione delle funzioni amministrative dalla Regione agli enti locali? Il principio di sussidiarietà ha trovato un’adeguata risposta da parte del legislatore regionale?

Sebbene da una valutazione complessiva e generale il responso sia negativo, è necessario fare delle distinzioni materia per materia. In materia di energia la situazione non è cambiata, ossia il legislatore del 2006 non ha ritenuto opportuno decentrare ulteriormente, rispetto a quanto già fatto nel 1999, le funzioni. In materia di turismo, agricoltura ed artigianato,  invece, è ravvisabile l’intento di dare concreta attuazione al principio di sussidiarietà, sia verticale che orizzontale. E infatti: da un lato, la legge provvede ad attribuire tutta una serie di mansioni alle province e ai comuni oltre a quelle delegate, mentre dall’altro si avvale (sussidiarietà orizzontale), per esempio, delle associazioni che coadiuvano gli enti e l’apparato istituzionale nello svolgimento delle proprie funzioni.

Per quanto attiene, invece, alla costituzione di società per azioni a partecipazione regionale, dalle leggi prese in considerazione emerge chiaramente che la Regione ha fatto più volte ricorso alla possibilità di avvalersi di organi  “terzi” che la supportassero nell’espletamento di attività di vario genere.
E’ evidente che la Regione piuttosto che, in applicazione del principio di sussidiarietà, trasferire ovvero delegare funzioni agli enti locali ha preferito ricorrere alla costituzione di società che, sebbene non siano parte del classico apparato politico-istituzionale regionale, ne integrano le attività permettendo alla Regione di restare comunque titolare delle proprie funzioni. La Regione dovrebbe quindi prevedere la possibilità di esercitare dei poteri sostitutivi, praticamente, nei confronti di se stessa: e questo non avrebbe senso. Soprattutto, dato che costituire una S.p.A. a livello regionale può essere sinonimo di decentramento ma non di sussidiarietà, né verticale né orizzontale. Non sarebbe, dunque, possibile esercitare delle funzioni in sostituzione di una società per azioni trattandosi di persona giuridica non classificabile come ente territoriale.

Si evince un quadro dell’attuazione del principio di sussidiarietà nell’ordinamento regionale caratterizzato da un sostanziale immobilismo delle funzioni amministrative e da una declinazione del principio di sussidiarietà non tanto in termini di spostamento delle funzioni amministrative e regolamentari, quanto, piuttosto in termini di coinvolgimento (a vario titolo) del sistema degli enti locali nell’esercizio delle competenze regolamentari e amministrative regionali (pareri, accordi, partecipazione alla definizione delle scelte).

Si tratta di un fenomeno che lungi dall’esaurirsi nell’esperienza laziale appare invece la conferma di un più generale trasformarsi dell’operatività del principio di sussidiarietà in termini di “modalità di esercizio della funzione” più che in termini di spostamento (verso il basso) di competenze.
Da questo punto di vista, gli enti regionali (in forma differenziata) sottraggono alla rete degli enti locali competenze a essi conferibili ai sensi dell’art. 118 della Costituzione, in particolare in materia di turismo, sport, difesa del suolo e ambiente.

Sintesi a cura della dott.ssa Marina Gargiulo



Intervento di Mons. Alfredo Abbondi
(Mons. Alfredo Abbondi, Sacerdote di “Comunione e Liberazione”, è Capo Ufficio della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede)

Questo intervento di apertura vuole essere una ‘pro-vocazione’, un chiamar fuori dal nostro spesso pigro e stanco ‘già saputo’. Poiché “raramente l’uomo impara ciò che crede già di sapere” (B. Ward) è bene, di tanto in tanto, tornare su quelle cose che diamo per scontate.
Non intendo dare soluzioni e tanto meno ricette miracolose, bensì mettere a fuoco un paio di questioni radicali (che riguardano, cioè, le radici della crisi attuale), fare un’affermazione secondo me decisiva e, da ultimo, esporre una proposta per verificare quanto avrò detto nel corso di questo intervento.

Crisi o sviluppo. Non solo non sono due realtà contrapposte, ma spesso si richiamano a vicenda. La storia lo insegna e lo documenta in mille modi. È forte la tentazione di illustrare questa affermazione, ma non è questo il luogo e il momento.

Crisi e sviluppo sono cose diverse, è vero, ma non per questo opposte o avversarie tra loro. Neppure inconciliabili o incompatibili. Spesso addirittura sono collegate. Quante volte le situazioni di crisi sono state la premessa e l'occasione di sviluppo e di progresso! E quante volte - torna in ballo subito la storia - sono state provocate delle crisi (leggi guerre) deliberatamente proprio per ricreare condizioni di sviluppo (quasi sempre solo economico - si badi – e a beneficio di pochi). Cinico ma vero.

Poco meno di due anni fa, quando ormai la crisi finanziaria era scoppiata da tempo e stava già diventando oggetto di instant book se non, addirittura, di tesi di laurea; e quella economica si stava già facendo feroce e quella sociale si annunciava nella beata (o beota) incoscienza dei più [è veramente curioso e triste constatare che la gente non riesce ad accettare la realtà finché non diventa ferocemente evidente], già allora, negli incontri del sabato che facevamo in Confartigianato, si cominciò a parlare di crisi come occasione per un cambiamento. Meglio: di sfida per un cambiamento. La circostanza è la sfida attraverso cui l’uomo cresce in umanità o regredisce al livello della bestia.

Realismo. I dati.
La realtà è qualcosa che si impone, quindi  non è utile né proficuo stare a discutere di chi è la colpa. È invece indispensabile capire quali siano le cause profonde di una certa situazione.

"Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità. Poca osservazione e molto ragionamento conducono all'errore". (Alexis Carrell)

Ogni imprenditore sa - padri di famiglia compresi - che un'analisi non completa, che trascuri o valuti in modo erroneo qualche dato, porta a prendere decisioni che possono addirittura aggravare la situazione aziendale.

Occorre un'osservazione vera dei dati, una valutazione ed un’interpretazione che siano reali, totali, complete e convergenti.

Un imprenditore - medico e paziente allo stesso tempo (è lui che ci rimette i soldi se sbaglia diagnosi o terapia!) - non può permettersi di non valutare a fondo TUTTI - ma proprio TUTTI - gli elementi.

Ecco perché, fidando nell'attaccamento di ciascuno alla propria creatura (l'impresa), alle creature che ne dipendono (dipendenti e famiglie relative), alla funzione sociale dell'impresa, alle sorti della nazione, o almeno – ci sarà almeno questo! – all'interesse per il proprio portafoglio, mi permetto di segnalare un paio di cose che, secondo me, sono indispensabili per non barare nell'analisi e nella diagnosi: ci rimettereste di sicuro; almeno il portafoglio!

Realismo. Il protagonista.

Nel vangelo viene riportata questa frase di Gesù di Nazareth: Dov'è il tuo tesoro là sarà pure il tuo cuore.
Di fronte ad un'affermazione così categorica si tergiversa, si dà del fondamentalista talebano a chi la formula (senza offesa per i talebani eventualmente presenti), si fanno mille distinguo. Ultimamente si agisce così perché far spazio alla verità (che alla fine si impone), spesso è cosa antipatica e fastidiosa. Infatti la verità ferisce: non siamo noi a possederla ma è da essa che dobbiamo lasciarci invadere e possedere.

Quale sia ciò che ritieni essere il tuo tesoro è chiarissimo e lo puoi capire senza troppe analisi, ecografie, TAC, ecc. ecc. Dove hai il cuore? Quello è il tuo tesoro!

"Ma come faccio a saperlo di sicuro?!" - obietterà qualcuno.

Lo capisci da qual è la cosa che per te è più importante, quella che salveresti per prima o sacrificheresti per ultima.

Facciamo un semplice esercizio partendo da questa citazione di un autore religioso del secolo scorso.

"Ciò che l’uomo ama viene a galla di fronte all’interrogativo, al problema, alla domanda, alla difficoltà. [...] lo si vede, viene a galla, nel momento esatto della prova e della difficoltà".

Ora, tralasciando un attimo i termini altamente 'ambigui' di questa frase (Dio, Cristo, ecc.) e sostituendoli con altri che suonano meglio (verità, libertà, amore, giustizia, bene comune, impresa di famiglia, ecc.; sì, anche impresa di famiglia, salute, soldi, potere e così via), proviamo a rileggere la frase.
Fate da voi il giochino (uso tale parola per sdrammatizzare un attimo una questione terribilmente seria!). Usiamo, ad esempio, la parola 'salute' (vostra, di un figlio, di una persona cara) e guardate come in realtà funziona la cosa.

Tutto questo per dire che è da pazzi vivere la vita senza obbedire alla cosa che più di ogni altra per noi vale, tanto vero che tutti siamo disposti a sacrificare qualunque cosa pur di salvare la cosa per noi più importante.

E poiché - scusate se c’è un po' troppo vangelo per i gusti di qualcuno, ma occorre pure che io mi guadagni la pagnotta! – “Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e a mammona.” (Mt 6,24). Occorre essere chiari e leali: non si può servire Dio e il denaro.
Se lo scopo dell'impresa (ovvero della tua vita) sono i soldi, il resto verrà solo dopo. Ma allora non ci si può lamentare della crisi. La crisi l'abbiamo creata noi, mettendo il denaro sopra altri valori ben più fondamentali, decisivi e duraturi.

Chiudo questo primo punto sintetizzando: per un'analisi reale, che non porti fuori strada, occorre essere estremamente leali nell'osservare e valutare tutti i dati. Tra questi dati quello decisivo è qual è il padrone a cui serviamo. E non possono essere due!

Una volta fatto questo emergerà con chiarezza a cosa teniamo di più. La cosa a cui tengo di più sarà quella a cui sacrificherò tutte le altre: impresa? soldi? maestranze e situazioni ad esse collegate? nazione? altro?

L'etica di cui si parla nel titolo di questo convegno - e siamo al secondo punto - non è altro che l'uso di tutto in funzione del 'valore', cioè quella cosa che nei fatti risulta essere lo scopo supremo.
Crisi e sviluppo sono due parole; il loro contenuto sarà definito dall'etica relativa e quindi dal valore ultimo che vorrò salvare.

Solo come un post scriptum detto sotto voce: se pensate di salvare soldi, impresa, potere o quel che volete, senza tener conto in modo adeguato di elementi come maestranze, solidarietà, nazione, ecc. sareste fuori strada alla grande. A parte che, come disse la nonna di Papa Francesco, "la sindone (il lenzuolo funebre) non ha tasche", cioè non ci portiamo nulla di materiale "di là", avere come scopo finale un fattore materiale è segno, prima di ogni altra cosa, di carente imprenditorialità, di uno sguardo corto e limitato.

Infatti, come ogni imprenditore - anche non eccelso - sa, la risorsa uomo è sempre decisiva, anche in attività quasi interamente automatizzate. E poiché "non di solo pane vive l'uomo", se il "pane" è poco e la stima ed il rispetto per la dimensione spirituale mancano in quanto neppure contemplati nel processo produttivo, non vedo con quale 'benzina' possa funzionare a lungo un meccanismo produttivo così impostato. Anche gli schiavi vanno in qualche misura motivati!

Quindi la crisi e lo sviluppo dipendono principalmente dall'etica di impresa, ovvero dall'etica dell'imprenditore e dei sistemi in cui è coinvolto il processo produttivo.
Se lo scopo ultimo sono i soldi, uno dei risultati possibili è quello che abbiamo sotto gli occhi in questi ultimi anni.
Se lo scopo ultimo è il bene comune, cioè uno scopo sociale, i soldi verranno usati come strumento relativo a tale fine ed il vero bilancio di un'impresa, di una società, di un governo e di tutti gli organismi nazionali e sovranazionali collegati sarà riferito al maggiore o minore avvicinamento allo scopo ultimo.

La crisi attuale non è altro che il frutto di un mondo impostato secondo un certo scopo: il profitto per il profitto. La catastrofe ne è l'esito prevedibile e ineluttabile.

Come la storia insegna - e siamo tornati da dove eravamo partiti! - tutti i sistemi costruiti su basi di possesso materiale come fine ultimo, non possono durare a lungo e, prima o poi, crollano; nel loro percorso storico, per reggere hanno dovuto ricorrere alla violenza; negli ultimi tempi - quando traballano e il terrore invade i protagonisti della vicenda - non si può non ricorrere anche alla peggiore violenza, la menzogna e il tradimento.
Poi, alla fine, crollano lasciando di sé una pessima memoria ed un cumulo di macerie.
Un sistema non crolla per la scarsa moralità del capo o di qualche suo elemento cardine, ma per l'intrinseca debolezza dell'impostazione del sistema stesso.

Dimostrazioni storiche? La Chiesa Cattolica e l'impero romano e tutti gli altri imperi che volete enumerare.

Da dove si riparte? Da San Benedetto il vero costruttore dell’Europa!
Tutti conoscono o hanno sentito parlare di San Benedetto. Pochi saprebbero dire qualcosa di Totila; eppure costui era il re degli Ostrogoti che espugnò due volte Roma ai tempi di san Benedetto. La terza volta non gli riuscì e fu respinto. Come ci riuscì le prime due volte? Sempre allo stesso modo: pagando i custodi delle porte della città!
Signori, avere come scopo ultimo il soldo .... non paga, produce violenza, ingiustizia, corruzione.
Mettete come scopo dell’impresa il bene comune, il bene di tutti, in particolare dei più poveri, e vedrete nel denaro un grande alleato, negli amici veri un gruppo imbattibile, in un gruppo unito da uno scopo più grande una risorsa che Standard & Poor's, Moody’s o Ficht e quant’altri neppure conoscono.
E di questi qualcuno certificò falsamente i fondamentali greci per entrare nell’euro, un altro emise un'analisi di rating positiva nei confronti dell'istituto di credito Lehman Brothers appena una settimana prima del suo fallimento e un altro ancora (o sempre lo stesso) disse benissimo di Parmalat poco prima del suo crack finanziario.

Ognuno serve il padrone a cui è devoto ed è devoto al padrone da cui aspetta soldi, fama e potere.

Come disse il buon Dostoevskij: “Quanti padroni hanno quelli che non vogliono servire l’unico Signore!”. A noi interessa il Signore che ci dà la vita eterna. “Ma chi te crede, che cce fai della vita eterna – se esiste?!” - sogghignerà qualcuno. A questo qualcuno bisogna dire che questo Signore dà anche il centuplo quaggiù! Provare per credere.

Lasciando ad altri la questione sulla sussidiarietà in quanto coinvolge il rapporto cittadino/Stato, e avrebbe bisogno di ben ampia trattazione in premessa, concludo con un'affermazione e una proposta.

L'affermazione è che non si esce da una crisi senza affrontare il tema della solidarietà. Non è l'unico tema, certo! Ma se li consideriamo tutti e ne tralasciamo uno, dicevo all'inizio, andiamo fuori strada. Questa è la vera e la prima etica dell'impresa: nella tempesta, navigando su una barca o volando in aereo (e questa crisi assomiglia di più a questo secondo tipo di viaggio!) non ci si salva da soli. Il mio vero bene è fare il bene di tutti. E avere il pilota giusto.

Proposta: in occasione di un prossimo incontro del sabato in Confartigianato, o in altra occasione creata ad hoc, (meglio con le ginocchia sotto un tavolo, come Gesù insegna) mi piacerebbe illustrarvi la naturale continuazione del mio intervento, che però esula dal tema e dal tempo previsti per questa sera.
È ciò che ho definito altre volte, parlandone con amici, "l'affare della vita, ovvero: come usare i soldi per ottenere quello che con i soldi non si può comprare". Sarà un incontro della durata di almeno 3 ore con la formula "soddisfatti o rimborsati"; se uscirete potendo dire onestamente che non vi sarà servito a nulla vi pagheremo la cena.
In ogni caso a nessuno sarà chiesto di dare offerte, di nessun tipo, a nessun ente o persona, né lì, né dopo l'incontro. E neppure di pagare la cena a noi (me ed i miei amici: si lavora in team).
Rischierete solo di guadagnare gratis!
Anche questa è un’etica d'impresa in tempo di crisi. Lo sviluppo ricomincia così.
Provare per credere. Ovvero – e aridaje cor vangelo! – “vieni e vedi”.


Intervento di Paolo Pugni (sunto)
(Paolo Pugni, amministratore delegato della Soc. Adwice, consulente direzionale per multinazionali e grandi imprese nazionali, è autore di diversi saggi pubblicati dalle Edizioni ARES di Milano. )


Di che cosa parliamo quando parliamo di crisi oggi?
Che cosa possiamo fare personalmente per capirne le cause e venirne fuori?
Come sfruttare le occasioni che oggi si pongono?

Di sicuro sappiamo quali siano le strade per provare ad uscire dalla crisi: vendere all’estero per aumentare le entrare e il flusso di cassa, analizzare le condizioni bancarie, difendersi dalle forme di anatocismo ed usura, cercare nuove strategie di promozione sfruttando anche il web o il passaparola.

Ma non di questo vogliamo parlare questa sera, quanto del senso del lavoro e di come una maggiore consapevolezza possa aiutarci a tirarci fuori dalla crisi.

Patrick Lencioni, consulente e autore americano, invita a ricercare e perseguire la condizione di “healthy company”, azienda sana: da tre punti di vista. Sana perché integra, moralmente onesta e rispettosa; sana perché coerente, quindi coesa su obiettivi concreti e condivisi; sana perché capace di una visione forte e lungimirante.

E questa visione deve nascere dalla comprensione di che cosa sia per me il lavoro, che senso abbia: perché là dov’è il mio pensiero, la mia visione, c’è il cuore. Ed è nel momento della crisi che questa lucidità di priorità assumer rilievo e forza generatrice.

Tre sono nella mia esperienza i modi di intendere e vivere il lavoro:
a)    minimalista
b)    totalizzante
c)    equilibrata

Minimalista significa che per me il lavoro è un carcere, un mezzo scomodo e faticoso per potermi procurare i mezzi con i quali vivere la vera vita, nei fine settimana in modo particolare. Il lavoro dunque è castigo, obbligo forzato, da ridurre al minimo, talvolta anche eludendolo subdolamente, perché è un giogo nella mia vita.
Totalizzante significa che per me il lavoro è tutto, è la priorità prima, è ciò che dà senso alla mia vita, che deve ruotare intorno alla mia realizzazione, al mio successo. Tutto sono pronto a sacrificare ad esso.  E se non dovessi spremerne fuori il successo che auspicavo, posso dolermene al punto da lasciarci la vita.
Equilibrata  significa che il lavoro trova posto nella mia vita, come elemento forte, come mezzo per contribuire al bene della società e della mia famiglia, ma non è totalizzante, ci sono valori che contano di più e che il lavoro può aiutarmi a perseguire in modo equilibrato (tempo, energie, risorse intellettuali).

Da ognuna di queste scelte discendono conseguenze.
Se la mia scelta è quella di una posizione equilibrata, sarò portato a guardare avanti, a guardare di lato per cogliere come il mio lavoro possa partecipare al bene sociale, possa avere un ruolo anche nella sussidiarietà. Allora prenderò in esame anche la possibilità di costruire o entrare in una rete d’imprese per fare massa critica;  allora analizzerò le situazioni, magari facendomi aiutare, per trovare il problema e risolverlo; allora mi darò da fare per far crescere altri professionalmente così da poter valorizzare anche il loro contributo. Allora perderò la presunzione di sapere sempre e solo io che cosa va fatto e come e mi aprirò a nuove prospettive e strade.

Allora delegherò e cercherò competenze anche al di fuori della mia attuale struttura.

Allora prenderò in esame il mondo dell’export, le nuove strategie di promozione, la rete, il passaparola.
E, alla fine, abbiamo parlato ancora di possibilità tecniche, ma con uno spessore nuovo e profondo per partire dal valore del lavoro .
























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