Per riscoprire un'etica d'impresa.
La Sussidiarietà come risposta ad un bisogno
Di
seguito pubblichiamo il documento di Ivan Simeone, la scheda del
progetto curata dalla dott.ssa Gargiulo, gli interventi di Mons. Abbondi e di Pugni,
la Sussidiarietà nella Regione Lazio e i dati.
Il progetto è in collaborazione con la Camera di Commercio di Latina.
Scheda
tecnica progetto sussidiarietà 2013.
“L’ impresa: crisi o
sviluppo ?”.
La sussidiarietà come
risposta ad un bisogno.
Per riscoprire un’etica
nell’attività d’impresa.
La difficile situazione
economica mostra quanto la crisi stia pesando sull’imprenditoria: nel Lazio le
aziende denunciano una condizione di pesante sofferenza economica e circa
80mila lavoratori sono stati messi in cassa integrazione. Le previsioni non
sono migliori si ipotizza che nel 2013 le insolvenze aziendali supereranno
quelle del 2009, considerato l’anno più difficile dall’inizio della crisi.
Non si può sperare in un deus
ex-machina che risolva la crisi né si può aspettare che questa passi da
sola.
Pertanto, il particolare
momento economico spinge le nostre imprese e gli operatori a “ragionare” e
confrontarsi sul senso della sussidiarietà, rapportato alle attività
d’impresa e alle dinamiche economiche, nonché – da più parti - si cominciano ad
accendere i riflettori su un impegno più etico del mondo produttivo.
Il principio di
sussidiarietà, infatti, esalta il valore dei corpi intermedi in grado di
svolgere una funzione sociale o di soddisfare un bisogno, traducendo nella vita
politica, economica e sociale una concezione globale dell’essere umano e della
società.
Tali argomentazioni sono
state discusse nei tre focus organizzati dalla Confartigianato in
sinergia con imprenditori nei giorni scorsi e, precisamente, il 24/04 ad
Aprilia, il 29/04 a Fondi e il 30/04 a Latina.
L’obiettivo principale del
Convegno di Latina del 14 maggio 2013, è stato quello di evidenziare un percorso
etico-economico ai soggetti che operano nei settori del lavoro e
dell’impresa.
Il modello di intervento
che si propone si pone l’obiettivo di sottolineare il prevalere dell’etica
sulle dure leggi dell’economia, cercando di rendere i partecipanti come
protagonisti attivi dell’iniziativa in una logica di tipo collaborativo e di
confronto.
Ancora, di creare momenti
di condivisione delle esperienze e di individuare delle pratiche comuni di
aiuto reciproco nell’affrontare problemi quotidiani relativi all’imprenditoria,
soprattutto rivolta alle piccole e medie imprese.
L’iniziativa si propone di
costruire sinergie tra le formazioni sociali e le istituzioni, nell’adempimento
dei doveri inderogabili di solidarietà sociale, economica e politica in modo
che ciascuno, secondo il suo ruolo, contribuisca a proporre di rimuovere gli
ostacoli che di fatto impediscono il pieno sviluppo.
Una impresa che vede nel
mercato non un “campo di battaglia” nel quale il successo passa attraverso
l’annientamento dell’avversario (sia esso concorrente, fornitore) o lo
sfruttamento del collaboratore, ma che sappia riconoscere e assicurare
l’esistenza altrui in un cammino di comune crescita verso il benessere non solo
economico.
La sussidiarietà dovrebbe
diventare leva dell’organizzazione dell’impresa per conseguire più
competitività, in quanto può costituire il legame strategico tra l’in e
l’outsourcing, che assicura la massimizzazione dell’efficacia dei processi.
Dott.ssa Marina Gargiulo
Vice Presidente
Confartigianato Donne
Impresa Latina
e consulente formazione.
“La Sussidiarietà come risposta ad un bisogno !”
Riflessione di Ivan Simeone
(Direttore
“Confartigianato Imprese Latina”)
1) Perché questa iniziativa ? Perché questo progetto ?
Quando è scoppiata,
qualche anno fa, questa grande e profonda crisi economica, era appena stata
promulgata l’ Enciclica “Caritas in
Veritate” che, all’epoca, fece molto scalpore per gli argomenti e per
l’attualità del momento.
Ancora oggi, questo
importante documento è una vera “bussola” per orientarsi nel quotidiano.
Non solo Enciclica
“economica” ma un documento complesso e realmente “sociale”.
Caritas in Veritate (CV)….Una Enciclica che
va ben oltre la valenza “economica” ma che guarda a tutta la realtà sociale;
una realtà che –per essere vera ed autentica- deve basarsi sulla Verità ed è in
questa chiave di lettura che bisogna, mai come in questi momenti, confrontarsi
con le logiche del mercato, della globalizzazione, della responsabilità.
Nell’Enciclica di Benedetto XVI si parla di “economia
integrata” che si abbina necessariamente al concetto di “imprenditorialità”
aperta e non rinchiusa nelle strette logiche esclusive del profitto finalizzato
a se stesso. Si parla di imprenditorialità che deve avere certamente una sua
professionalità ma anche una logica “umana”.
Nella CV si parla di
sussidiarietà, riprendendo la tradizione e l’insegnamento del magistero, una
sussidiarietà che “è prima di tutto un
aiuto alla persona attraverso l’autonomia dei corpi intermedi. Tale aiuto viene
offerto quando la persona e i soggetti sociali non riescono a fare da se ed
implica sempre finalità emancipatrici, perché favorisce la libertà e la
partecipazione in quanto assunzione di responsabilità…”
Solidarietà, sussidiarietà, no profit, economia di
comunione (vedi
gli interessanti saggi di Chiara Lubich “L’ economia di comunione” e
quello di Luigino Bruni “Benedetta Economia” editi da Città Nuova), bene
comune…tutti puzzle del medesimo disegno che, se approfondito e
attualizzato nelle scelte economiche attuali e delle scelte politiche (cosa
questa purtroppo difficile visti i tempi e la qualità della politica di oggi)
potrebbe risollevare la nostra comunità e cominciare a dare un senso nuovo e
diverso al nostro lavoro.
In quello stesso
periodo, in “Confartigianato Latina”, organizzammo un primo semplice incontro
con alcuni amici imprenditori e professionisti per analizzare l’Enciclica
Caritas bin Veritate. Questo appuntamento riscosse molto interesse, tanto da
far partire quelli che oggi chiamiamo “gli
incontri del Sabato”…..incontri mensili, un sabato mattina, appuntamenti
informali per analizzare i problemi del momento ma con un’ottica differente, con “sguardi” diversi !
Da questi semplici
appuntamenti, nacque il voler cercare di affrontare le dinamiche aziendali non
solo con l’erogazione di servizi o con l’attività sindacale (cose queste
certamente importantissime) ma valorizzando sempre di più il fattore “persona”;
il bisogno dell’ uomo imprenditore che, nella microimpresa e nell’azienda artigiana,
è egli stesso lavoratore.
Da questi momenti di
confronto sono poi scaturite nuove iniziative e rapporti, come la nostra
partecipazione, con diverse imprese della provincia di Latina, al Meeting Internazionale di Rimini, lo
scorso Agosto, incontri sulla sussidiarietà,
sull’etica…..analizzammo e
commentammo alcuni scritti di Luigi
Giussani, ci confrontammo sul documento legato alla crisi economica
elaborato da CL per il mondo imprenditoriale…..
Oggi, dinanzi al perdurare di questa “crisi” ci siamo
domandati cosa fare, come poter aiutare le nostre attività oltre i normali
servizi di assistenza o sindacali.
Abbiamo deciso di
dare vita ad un piccolo progetto organico, supportati dalla Camera di
Commercio, per cercare di trasmettere un input di positività e di attiva
sinergia. Abbiamo dato vita ad un questionario,
per rafforzare un dialogo con le attività d’impresa e cercare di monitorare
alcune priorità. Abbiamo dato vita ad alcuni focus group sul territorio provinciale tra imprenditori, ed oggi
questo momento di confronto…punto di arrivo ma anche momento di ripartenza.
Noi crediamo che questa crisi si debba affrontare con un
“occhio nuovo”, con un “atteggiamento” nuovo e con la consapevolezza che,
passato il momento di emergenza, tutto non tornerà più come prima ma,
probabilmente, dovremmo affrontare le dinamiche aziendali e del lavoro con
maggior consapevolezza e con una maggior profondità valoriale che si
affiancherà alle logiche del profitto e della produttività.
I problemi che
attanagliano le nostre piccole imprese ormai li conosciamo bene; in ogni
incontro, convegno o tavolo istituzionale li ripetiamo sempre….parole al vento:
troppa burocrazia anche negli Enti locali, problemi sulle dinamiche della
formazione, accesso al credito…ma molte sono anche le responsabilità
dell’imprenditore che non riesce ancora a fare rete e aspetta sempre che
qualcuno o qualcosa intervenga…..
Oggi, sul tavolo
della discussione, ci sono in gioco termini che forse dovremmo meglio
comprendere e su qui riflettere. Oggi sentiamo parlare di etica d’impresa, di
responsabilità, di sussidiarietà……. Ma di cosa stiamo parlando ?
2) Crisi: sfida per un cambiamento….
E’ questo il primo
momento di confronto. Il documento, a cura di Comunione e Liberazione, che
analizzava il momento della crisi in
un’ottica di “cambiamento”. Un momento di criticità che non deve essere subito
ma affrontato pro positivamente…”La
realtà ci rimette continuamente in moto, provocandoci a prendere posizione di
fronte a ciò che accade..” una vera chiamata a responsabilità attiva per
tutti noi operatori, imprenditori… Il momento che stiamo vivendo è anche un
invito a guardare “la crisi come
opportunità: essa, infatti, costringe a rendersi conto del valore di cose a cui
non si pensa finchè non vengono meno, per esempio la famiglia, l’educazione, il
lavoro…”
Ecco che nel nostro
agire bisogna riscoprire il senso vero
delle cose, del lavoro in azienda, dell’attività in ufficio o nell’impresa…una
visione di responsabilità nuova e condivisa.
In tutto questo anche la politica, i singoli
Amministratori pubblici hanno le loro “responsabilità” per il bene comune e non
l’interesse di parte.
3) Cosa è la sussidiarietà ?
Parlare di
Sussidiarietà è una impresa coinvolgente, per gli argomenti trattati e per la
profondità valoriale; un problema che riguarda tutti noi, cittadini o imprese,
per dare risposta ad un bisogno.
Quando ci
confrontiamo con questo concetto, come in quello di “solidarietà”, dobbiamo
riportare il nostro pensiero all’esperienza del cattolicesimo sociale e
liberale che ha come suo punto di riferimento Giuseppe Toniolo.
Oggi la sussidiarietà
è un termine, purtroppo, spesso abusato ma poco attualizzato nel quotidiano.
Uno dei massimi
studiosi del fenomeno è il Prof. Giorgio
Vittadini, Presidente della “Fondazione per la Sussidiarietà” e docente
universitario.
Proprio Luglio del
2012 ha dato alle stampe, per la BUR, una raccolta di saggi sulla Sussidiarietà
(“La sfida del cambiamento”) che sono un punto di riferimento per tutto il
dibattito in corso, come è da segnalare l’importante intervento dell’allora
Ministro Corrado Passera al Meeting internazionale di
Rimini (vedi “Fatti per l’ infinito” Ed. BUR novembre 2012) che, partendo dalla
riflessione che “il nostro modello (di welfare) è ancora troppo concentrato sugli insider del mondo del lavoro e troppo
poco dedicato a chi è invece fuori” evidenzia che vi è un problema di fondo,
“di un welfare che è molto orientato ai problemi dell’invecchiamento e molto
meno, troppo poco, ai temi della denatalità, della famiglia, dell’inclusione
sociale, dell’employability inglese…….E’ il momento –conclude Passera- di riformulare il welfare anche in termini
di orientamento (…) per questo emerge la necessità di muoversi decisamente
verso il cosiddetto welfare sussidiario….un welfare in cui esiste un effettivo
pluralismo di offerta.”
Passera poi passa a
ragionare sull’emergenza del momento: la produttività…”Il nostro problema principale di competitività, e quindi di crescita,
si chiama produttività.
Il Prof. Giorgio Vittadini,
evidenzia una precisa indicazione, anche operativa, sul concetto di
sussidiarietà ed in particolare sul “welfare sussidiario”, dove la Famiglia in
quanto tale è un punto focale e sempre un ammortizzatore sociale, come lo è la
micro impresa che, quasi sempre, è a dimensione sempre familiare.
Giorgio Vittadini
parte analizzando l’attuale situazione di criticità ed evidenzia il problema di
aver trascurato il ruolo dei corpi intermedi, delle associazioni, delle
fondazioni.
Secondo il Presidente
della Fondazione per la Sussidiarietà, vi sono alcuni concetti guida che
accompagnano la sussidiarietà: la famiglia come fattore di equità e con
profonda funzione di ammortizzatore sociale, le reti societarie del “terzo
settore”, le organizzazioni non profit, le associazioni di volontariato e il
welfare aziendale, il tutto con un denominatore comune quale è il concetto di
“libertà di scelta” e di solidarietà…”la
sussidiarietà –ci rammenta Vittadini- , espressione
dell’inalienabile libertà umana, è manifestazione particolare della carità, ma
senza la solidarietà scade nel particolarismo sociale, mentre la solidarietà
senza la sussidiarietà scade nell’assistenzialismo che umilia il portatore di
bisogno.”
Superare la crisi senza sacrificare nessuno…….
Se andiamo leggermente
in profondità (ma non troppo !) ci accorgiamo che il termine “sussidiarietà” è
poliedrico e numerosi sono gli studi di carattere giuridico, sociale ed
economico, che lo analizzano sotto ogni punto di vista.
E’ certamente un
concetto nuovo che è da poco comparso nei nostri ordinamenti ed ancora non si è
compreso appieno il modo di attualizzazione quotidiana.
Nel saggio curato dal
Prof. Vittadini numerose sono le sollecitazioni rette da un pragmatismo che ci
impone un “rimboccarci le maniche” ut operetur.
Dopo una attenta
analisi dell’attuale momento economico, si comincia un percorso che ha come let
motiv il welfare sussidiario, partendo proprio dai fondamenti antropologici del
principio di sussidiarietà e dal binomio solidarietà-sussidiarietà, il mondo
della cooperazione e dei servizi sociali come i servizi nella pubblica utilità,
il ruolo attivo della famiglia che deve oggi essere ripensata in prospettiva
sussidiaria…. vero ammortizzatore sociale dei nostri tempi oggi che è rimessa
in continua discussione come Valore…..politiche “family friendly”, non mancando
dotti richiami al rapporto con l’impresa e con gli aspetti squisitamente
costituzionali e sui “quasi mercati”.
Ecco che vengono
analizzati i diversi modelli di welfare….







Le aree di intervento
specifico, per le dinamiche welfare-sussidiarie, si possono sintetizzare in
cinque: previdenza, sanità, assistenza, ammortizzatori sociali ed istruzione.
Nello specifico, l’intervento sussidiario nasce dal “basso”, dai corpi
intermedi della società. La sussidiarietà è una concezione prettamente
occidentale ed europea e nasce dal pensiero sociale della Chiesa.
“Tutti i bisogni sociali , ci rammenta
Vittadini, sono più efficacemente
affrontati con azioni dal basso, cioè da soggetti naturalmente più vicini al
bisogno e più in grado di accompagnare l’azione delle persone perché diventino
protagoniste di un possibile cambiamento del loro destino”.
In tutto questo
“discorso” un aspetto essenziale è proprio il “no profit” che, giorno dopo
giorno, sta assumendo un ruolo determinante.
Ecco che ormai si
parla di un welfare sussidiario che è poi un mix di interventi dello Stato
supportato dalle organizzazioni di base e dal terzo settore. Uno dei massimi
“attori” è proprio l’ istituzione “famiglia”
che oggi sta assumendo sempre più un valore di “mediazione sociale”, fattore di
equità e ammortizzatore sociale, con il mondo del volontariato e quello che si chiama il welfare aziendale, altro punto focale di intervento e di analisi su
cui aprire un confronto non secondario.
Pochi sanno che la
“sussidiarietà” è entrata sia nella nostra Costituzione italiana nel 2001 (Art.
118 della Costituzione – riforma del titolo V) che nel diritto comunitario
(inserito nel Trattato di Maastricht del 1992) ed è, insieme alla solidarietà,
uno degli assi portanti del magistero sociale della Chiesa cattolica.
Il termine lo
focalizza molto bene Giovanni Paolo II
nell’Enciclica “Centesimus annus” del 1991 quando dice: “…deve essere rispettato il principio di sussidiarietà: una società di
ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di
ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla
in caso di necessità ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle
altre componenti sociali, in vista del bene comune”.
Da questo concetto
scaturisce poi l’attualità dei corpi
intermedi, dei vari soggetti sociali associazionistici, cooperazione….tutto
un mondo legato al no profit che di fatto unisce il semplice cittadino, preso
come individuo, come singolo, allo Stato.
Una “sussidiarietà
orizzontale” basata sul presupposto secondo cui alla cura dei bisogni
collettivi e alle attività di interesse generale provvedono direttamente i
privati cittadini (sia come singoli che come associati) e i pubblici poteri
intervengono in funzione sussidiaria, di programmazione, di coordinamento…..
Il magistero sociale della Chiesa Cattolica (DSC) fa
della sussidiarietà un punto focale.
Se andiamo a scorrere
il compendio della DSC, valido strumento operativo e formativo sia per i
cattolici che non, ci accorgiamo che il principio della sussidiarietà è
inserito nei primissimi capitoli dedicati proprio ai principi basilari della
DSC.
L’ impegno “sociale”
viene evidenziato con Leone XIII e con la ormai famosa Enciclica “Rerum
Novarum”. Tutta la DSC si è poi andata a sviluppare, decenni dopo decenni, e ha
trovato nell’insegnamento di Giovanni Paolo II, oggi Beato, un punto di
riferimento ormai essenziale, con tutte le Sue esternazioni e le Sue
Encicliche.
Per la DSC il punto
di partenza è semplice e ben chiaro: “…tutte
le società di ordine superiore devono porsi in atteggiamento di aiuto, quindi
di sostegno, promozione, sviluppo, rispetto alle minori. In tal modo, i corpi sociali intermedi (altro
concetto fondamentale e da valorizzare mai come in questi periodi di crisi) possono adeguatamente svolgere le funzioni
che loro competono, senza doverle cedere ingiustamente ad altre aggregazioni
sociali di livello superiore, dalle quali finirebbero per essere assorbiti e
sostituiti e per vedersi negata, alla fine, dignità propria e spazio vitale.”
Ecco che ad un
concetto positivo (ciò che si deve fare), vi è un concetto negativo (quello che
NON bisogna fare):”… lo Stato deve
astenersi da quanto restringerebbe, di fatto, lo spazio vitale delle cellule
minori ed essenziali della società. La loro iniziativa, libertà e
responsabilità non devono essere soppiantate”.
Ma la DSC va oltre
all’enunciazione di principi, ma si inserisce direttamente nelle dinamiche
pratiche del quotidiano.
Il principio di
sussidiarietà coinvolge direttamente i corpi intermedi (associazioni,
sindacati, organizzazioni no profit, associazioni di famiglie…..) la famiglia
in quanto soggetto politico e sociale, la valorizzazione della Persona….e il “bene comune” (altro oggetto misterioso
che compare solo nei convegni ma ci si dimentica di vivificarlo nelle scelte
politiche quotidiane), deve rimanere sempre il criterio di discernimento circa
l’applicazione o meno del principio della sussidiarietà.
Certo ora
bisognerebbe andare ad analizzare il concetto di “bene comune” (cui rimandiamo alla lettura del saggio di Ibanez Langlois “La dottrina sociale
della Chiesa” edito da ARES) e di cosa sia realmente la “solidarietà” che si muove in correlazione con il principio
sussidiario, ma si andrebbe troppo lontano.
Uno dei punti di
riferimento per tutta l’analisi della DSC è la rivista “La Società”, rivista scientifica della Fondazione “Giuseppe
Toniolo” di Verona.
4) Impresa ed etica ?
Quale rapporto tra
impresa ed etica nella piccola impresa ?
Spesso quando
parliamo di etica ci viene alla mente il “codice etico” che ormai quasi tutte
le grandi aziende e/o organizzazioni adottano un codice di comportamento e
valoriale certamente importante e valido ma, forse, quando ci rivolgiamo
all’impresa familiare, alla piccola e piccolissima azienda dovremmo orientarci
sulla persona dell’imprenditore e/o dello stesso lavoratore.
Quale comportamento etico
sul lavoro ?
Quale senso dare al nostro lavoro quotidiano ?
Qui mi viene alla
mente la domanda che si pone Tischner
: “ ….Quale è la nostra idea di lavoro ?”
Sono questi gli
interrogativi cui dovremmo riuscire a rispondere.
Forse, laicamente
parlando, bisognerebbe riuscire ad andare oltre al solo (se pur importantissimo
e fondamentale) aspetto legato al salario… ai soldi che si guadagnano ma dare anche
un Valore alto al proprio impegno quotidiano in azienda. Lavorare per un
progetto, per un disegno più a lunga portata e non che si concluda con la sola
“mensilità”.
Qui il maestro è l’
amico Paolo Pugni, già direttore marketing ed oggi
consulente aziendale, autori di diversi saggi economici ed umanistici, che nel suo saggio “Lavoro &
Responsabilità” (edito dalle edizioni ARES di Milano) ha ben evidenziato queste
dinamiche e questi percorsi possibili.
“L ‘etica –ci rammenta Pugni riprendendo l’insegnamento
aristotelico- non è una raccolta di
codici e di affermazioni altisonanti da tener appese al muro o da esporre nei
siti aziendali, o codici di norme per risolvere i dilemmi; è piuttosto qualche
cosa di correlato al carattere sviluppato attraverso azioni libere e
razionali…..etica come la guida per la realizzazione della pienezza umana e
l’eccellenza della persona”.
5) Le nostre piccole imprese….
Tutto ciò fa
riflettere non poco sul ruolo e il futuro delle nostre piccole imprese; aziende
familiari, artigianali ….. imprese che
producono utile e occupazione ma che, di contro, non vengono mai considerate
come si dovrebbe, relegate a situazioni residuali.
Le sfide lanciate da
questa crisi ci impongono un riposizionamento del fare impresa. Fino ad oggi un
modello economico fondato esclusivamente –come evidenziato da Maria Cristina Marchetti in “Sfide ed
opportunità del tempo di crisi”- su una concezione individualistica e legata al
profitto.
Oggi bisogna riuscire ad “andare oltre”.
Punto focale è il “saper fare” ecco che vi è una
dinamica che porta necessariamente alla concretezza del lavoro, alla
produttività, alla partecipazione della produzione dell’impresa.
Le piccole imprese
che costituiscono in Europa come in Italia oltre il 90% delle aziende.
Intuizioni vi sono ma
non vengono poi recepite nel tessuto politico; vedi lo Small business Act del 2008 che ancora –se pur recepito
dall’ordinamento italiano- rimane materia da convegno. Ecco che si fa pesante la responsabilità della politica e del politico
di turno che non riesce oggi a gestire queste dinamiche di cambiamento.
Oggi dinanzi a queste
“turbolenze” economiche –che mettono in crisi profonda molte piccole attività
d’impresa che oggi sono realmente costrette a chiudere, bisogna affrontare il
quotidiano diversamente. Bisogna non far crescere solo l’imprenditore in quanto
tale, ma la stessa Azienda come soggetto giuridico per meglio strutturarla
dinanzi alle varie Basilea 1, 2 e 3.
Bisogna guardare alla
qualità della produzione e puntare su una nuova sostenibilità economica,
ambientale e sociale.
Bisogna dare maggior
spazio alla produzione rispetto ai servizi….tutti input su cui riflettere.
I.S.
Questionario
delle piccole imprese pontine.
Risultati
e analisi. Dati del territorio 2012/2013
Premessa.
La
prima fase svolta del progetto concerneva in un’analisi e relativa raccolta delle informazioni sulle
problematiche imprenditoriali del tessuto economico locale, tramite la
distribuzione e conseguente compilazione
di un questionario.
Nello
stesso, sono state evidenziate tematiche relative alle nuove linee guida della riforma del lavoro,
alle maggiori difficoltà nella gestione di una azienda, alla complessità a
reperire fonti di finanziamento di qualsiasi natura, alle politiche di
abbattimento dei costi. E non solo. La somministrazione ha permesso di fotografare la realtà delle piccole e
medie imprese pontine.
Di seguito
l’elaborazione statistica dei risultati (su
un campione di 100 imprese):
Tabella 1.
Dati relativi al
Mercato del Lavoro
Settore
di attività
|
Conoscenza
delle riforme del mercato del lavoro
|
Necessità
di riqualificare il personale dipendente
|
Conoscenza
del Fart (Fondo artigiani) per la formazione dei lavoratori
|
Attività
manifatturiere
|
65%
|
62%
|
12%
|
Edilizia
e costruzione
|
72%
|
84%
|
11%
|
Commercio
all’ingrosso e al dettaglio
|
71%
|
79%
|
9%
|
Trasporto
e magazzinaggio
|
68%
|
63%
|
8%
|
Attività
di servizi
|
74%
|
74%
|
8%
|
Attività
finanziarie ed assicurative
|
73%
|
72%
|
10%
|
Attività
scientifiche, tecniche e professionali
|
77%
|
75%
|
7%
|
Servizi
di alloggio e ristorazione
|
69%
|
70%
|
6%
|
Servizi
di informazione e comunicazione
|
71%
|
69%
|
5%
|
Nota. Dalla prima analisi
effettuata risulta che quasi la totalità delle imprese è a conoscenza delle
riforme del mercato del lavoro ed esprime
la necessità di formare i propri lavoratori. Si evidenzia, però, una
scarsa informazione sul territorio in merito all’opportunità di poter usufruire
dei fondi per la formazione
Tabella 2.
Dati relativi alla
competitività delle imprese
Settore
di attività
|
Volontà
di sviluppare innovazione di prodotto e/o di processo
|
Necessità
di creare nuove opportunità in mercati esteri
|
Interesse
a partecipare a meeting/ convegni/work shop
|
Attività
manifatturiere
|
67%
|
62%
|
12%
|
Edilizia
e costruzione
|
81%
|
84%
|
11%
|
Commercio
all’ingrosso e al dettaglio
|
75%
|
79%
|
9%
|
Trasporto
e magazzinaggio
|
69%
|
84%
|
8%
|
Attività
di servizi
|
76%
|
86%
|
8%
|
Attività
finanziarie ed assicurative
|
78%
|
72%
|
10%
|
Attività
scientifiche, tecniche e professionali
|
77%
|
76%
|
7%
|
Servizi
di alloggio e ristorazione
|
80%
|
61%
|
6%
|
Servizi
di informazione e comunicazione
|
75%
|
89%
|
5%
|
Nota. Dalla seconda
analisi effettuata risulta un forte interesse da parte delle imprese ad essere
competitive nel mercato in cui operano e conseguentemente si manifesta una
necessità di acquisire ulteriori quote di mercato. Tale analisi denota un
atteggiamento comunque positivo e propositivo da parte degli imprenditori
locali. In particolare, si evidenzia peraltro che la maggior parte degli
intervistati opera in sistema di qualità certificata.
Tabella 3.
Dati relativi alle
problematiche connesse alla gestione dell’impresa
Settore
di attività
|
Difficoltà
a reperire fonti di finanzia mento
|
Mediocre
operato della Pubblica amministrazione
|
Supporto
di altri attori del sistema (consulenti, associazioni di categoria,
sindacati)
|
Attività
manifatturiere
|
77%
|
64%
|
17%
|
Edilizia
e costruzione
|
81%
|
85%
|
11%
|
Commercio
all’ingrosso e al dettaglio
|
76%
|
79%
|
14%
|
Trasporto
e magazzinaggio
|
78%
|
83%
|
18%
|
Attività
di servizi
|
76%
|
79%
|
17%
|
Attività
finanziarie ed assicurative
|
79%
|
72%
|
10%
|
Attività
scientifiche, tecniche e professionali
|
77%
|
75%
|
17%
|
Servizi
di alloggio e ristorazione
|
81%
|
77%
|
16%
|
Servizi
di informazione e comunicazione
|
75%
|
80%
|
21%
|
Nota. Dalla terza analisi
effettuata risulta che il sistema economico locale non si sente
sufficientemente supportato dalle
Istituzioni sia pubbliche che private, che soffre per ottenere liquidità e
si denota quindi una sorta di
“solitudine” imprenditoriale.
Riferimenti utili:









Documentazione di riferimento
















Applicazione del
principio di sussidiarietà
nella Regione Lazio
Premessa e
riferimenti normativi
La
legge costituzionale n. 3 del 2001 ha ampliato gli spazi dell’autonomia
regionale mettendo così la Regione nelle condizioni di costruire moduli per il
proficuo coinvolgimento degli enti locali laziali nell’azione di governo e di
poter conferire loro maggiori competenze amministrative.
La
Repubblica delle autonomie, con una governance multilivello alla quale
partecipano i comuni, le provincie, le istituende città metropolitane,
le regioni, lo Stato e l’Unione europea, deve tradurre questo nuovo impianto
istituzionale in un incremento di semplificazione decisionale, trasparenza
degli interessi e partecipazione delle comunità, fuggendo così il rischio che
la molteplicità dei soggetti coinvolti si traduca in inefficienza dell’azione
di governo.
Si
tratta di una sfida che oggi affrontiamo nella consapevolezza che un Paese dove
le decisioni di chi esercita il governo della cosa pubblica avvengono in modo
più veloce e al tempo stesso più partecipato è anche un Paese più competitivo
nell’area globale e più in sintonia con la propria comunità.
La
presente analisi evidenzia i principi di sussidiarietà, differenziazione e
adeguatezza enunciati nell’art. 118 della Costituzione e a loro volta
richiamati dall’art. 16 dello Statuto regionale.
Come
è ben noto, la radicale riforma che ha riguardato il Titolo V della Parte
seconda della Costituzione ha tra l’altro comportato una profonda modifica dei
principi che sovrintendono alla ripartizione della titolarità e dell’esercizio
delle funzioni amministrative tra i diversi livelli di governo. Il citato art.
16 dello Statuto, in particolare, stabilisce che le funzioni amministrative
relative alle materie di competenza legislativa della Regione debbano, di
norma, essere attribuite dalla legge regionale ai comuni.
L’applicazione
di tale regola incontra il limite dell’accertata esigenza, oggetto di
valutazione da parte del legislatore regionale, di garantire l’esercizio
unitario delle funzioni amministrative, in funzione «dell’efficace tutela degli
interessi dei cittadini e della collettività».
Ricorrendo
detto presupposto, da dover vagliare alla luce delle specifiche funzioni e
valutata la concreta capacità e idoneità dei comuni a far fronte ai nuovi
compiti, potrà essere possibile, da parte della Regione, conferire funzioni
amministrative alle province o ad altri enti locali, ovvero riservare a se
stessa il loro esercizio.
In
tale ultimo caso, la Regione, oltre che operare direttamente avvalendosi delle
proprie strutture, può servirsi in primo luogo dell’attività delle agenzie di
cui all’art. 54 St. – che ancorché dotate di forme di autonomia gestionale,
organizzativa e contabile, costituiscono delle “unità amministrative”
sottoposte al potere direttivo, al controllo e alla vigilanza da parte della
Giunta – nonché ricorrere all’istituzione di enti pubblici a carattere
strumentale ovvero prevedere la partecipazione in società o in altri enti
soggetti alle norme del codice civile.
Modelli di governance
regionale
Dall’analisi
congiunta dei dati normativi emergono diversi modelli possibili di rapporto tra
la Regione e gli enti locali, in una sorta di climax ascendente di
delega di funzioni ed evidentemente di spostamento di risorse:
1)
modello regionale con partecipazione degli enti locali (e conseguente
conferimento di funzioni);
2)
modello regionale con conferimento solo di alcune funzioni;
3)
modello regionale con conferimento di funzioni a soggetti privati;
4)
modello regionale con attribuzione del compito indifferentemente a enti locali
e a soggetti privati
5)
modello con il quale la Regione fa tutto da sé.
Il sistema laziale
degli enti locali
Per
quanto riguarda le caratteristiche del sistema degli enti locali del Lazio, va
detto che i dati evidenziano la sua forte sperequazione demografica e
territoriale. Dei 378 comuni, ben 252 sono sotto i 5.000 abitanti, dunque
piccoli comuni, e l’idea del conferimento delle funzioni amministrative ai
comuni non può non scontare questo dato almeno in termini di necessaria
differenziazione; la Regione, quindi, dovrà ben tenere presente tale dato nella
misura in cui potrà conferire funzioni ai comuni più grandi e, in luogo di quelli
piccoli, o incentivare le unioni di comuni (legge n. 122 del 2010) o alle
province. In più, la dimensione romana appare assorbente: il 73,1% dei
residenti del Lazio vive nella Provincia di Roma.
Considerazioni
Le
agenzie regionali costituiscono solo una parte del complessivo sistema
amministrativo regionale, il quale è infatti composto da una pluralità di
modelli organizzativi che, al di là delle strutture amministrative regionali in
senso stretto, comprende una molteplicità di enti strumentali della Regione,
società per azioni controllate o partecipate e altri enti privati.
Cionondimeno, anche alla luce del quadro normativo analizzato, risulta
possibile formulare qualche riflessione conclusiva sul ruolo delle agenzie
nella Regione Lazio, cercando di valutare, in particolare, se le attività da
esse svolte risultino coerenti con le sfere di competenza degli altri enti
locali laziali oppure se, al contrario, si verifichino casi di sovrapposizione
di competenze e di funzioni.
Il
rischio, pertanto, è che la “proliferazione” di agenzie regionali, così come
degli altri enti strumentali della Regione, possano essere di ostacolo a una
corretta applicazione dei principi di sussidiarietà e di decentramento, a
svantaggio degli altri enti territoriali regionali le cui competenze si
trovano.
In
tal modo, se da un lato si deve
garantire l’autonomia organizzativa regionale, che si esprime nella libera
scelta dei modelli organizzativi da parte della Regione, d’altro canto
l’esercizio di tale autonomia dovrebbe bilanciarsi con il principio del
decentramento e con quello di sussidiarietà. Alla luce di quanto detto, un
eventuale contrasto tra i diversi principi, quello dell’autonomia organizzativa
da una parte e quelli del decentramento e della sussidiarietà dall’altra, non
può che trovare il giusto bilanciamento grazie a un altro principio, ossia
quello di leale collaborazione.
È
stata data un’effettiva attuazione a quanto disposto dalla l.r. 14/1999? Vi è
stata una reale distribuzione delle funzioni amministrative dalla Regione agli
enti locali? Il principio di sussidiarietà ha trovato un’adeguata risposta da
parte del legislatore regionale?
Sebbene
da una valutazione complessiva e generale il responso sia negativo, è
necessario fare delle distinzioni materia per materia. In materia di energia la
situazione non è cambiata, ossia il legislatore del 2006 non ha ritenuto
opportuno decentrare ulteriormente, rispetto a quanto già fatto nel 1999, le
funzioni. In materia di turismo, agricoltura ed artigianato, invece, è ravvisabile l’intento di dare
concreta attuazione al principio di sussidiarietà, sia verticale che
orizzontale. E infatti: da un lato, la legge provvede ad attribuire tutta una
serie di mansioni alle province e ai comuni oltre a quelle delegate, mentre
dall’altro si avvale (sussidiarietà orizzontale), per esempio, delle
associazioni che coadiuvano gli enti e l’apparato istituzionale nello
svolgimento delle proprie funzioni.
Per
quanto attiene, invece, alla costituzione di società per azioni a
partecipazione regionale, dalle leggi prese in considerazione emerge
chiaramente che la Regione ha fatto più volte ricorso alla possibilità di
avvalersi di organi “terzi” che la
supportassero nell’espletamento di attività di vario genere.
E’
evidente che la Regione piuttosto che, in applicazione del principio di
sussidiarietà, trasferire ovvero delegare funzioni agli enti locali ha
preferito ricorrere alla costituzione di società che, sebbene non siano parte
del classico apparato politico-istituzionale regionale, ne integrano le
attività permettendo alla Regione di restare comunque titolare delle proprie
funzioni. La Regione dovrebbe quindi prevedere la possibilità di esercitare dei
poteri sostitutivi, praticamente, nei confronti di se stessa: e questo non
avrebbe senso. Soprattutto, dato che costituire una S.p.A. a livello regionale
può essere sinonimo di decentramento ma non di sussidiarietà, né verticale né
orizzontale. Non sarebbe, dunque, possibile esercitare delle funzioni in
sostituzione di una società per azioni trattandosi di persona giuridica non
classificabile come ente territoriale.
Si
evince un quadro dell’attuazione del principio di sussidiarietà
nell’ordinamento regionale caratterizzato da un sostanziale immobilismo delle
funzioni amministrative e da una declinazione del principio di sussidiarietà
non tanto in termini di spostamento delle funzioni amministrative e
regolamentari, quanto, piuttosto in termini di coinvolgimento (a vario titolo)
del sistema degli enti locali nell’esercizio delle competenze regolamentari e
amministrative regionali (pareri, accordi, partecipazione alla definizione
delle scelte).
Si
tratta di un fenomeno che lungi dall’esaurirsi nell’esperienza laziale appare
invece la conferma di un più generale trasformarsi dell’operatività del principio
di sussidiarietà in termini di “modalità di esercizio della funzione” più che
in termini di spostamento (verso il basso) di competenze.
Da
questo punto di vista, gli enti regionali (in forma differenziata) sottraggono
alla rete degli enti locali competenze a essi conferibili ai sensi dell’art.
118 della Costituzione, in particolare in materia di turismo, sport, difesa del
suolo e ambiente.
Sintesi
a cura della dott.ssa Marina Gargiulo
Intervento di Mons. Alfredo
Abbondi
(Mons. Alfredo Abbondi, Sacerdote di “Comunione e
Liberazione”, è Capo Ufficio della Prefettura degli Affari Economici della
Santa Sede)
Questo
intervento di apertura vuole essere una ‘pro-vocazione’, un chiamar fuori dal
nostro spesso pigro e stanco ‘già saputo’. Poiché “raramente l’uomo impara ciò
che crede già di sapere” (B. Ward) è bene, di tanto in tanto, tornare su quelle
cose che diamo per scontate.
Non
intendo dare soluzioni e tanto meno ricette miracolose, bensì mettere a fuoco
un paio di questioni radicali (che riguardano, cioè, le radici della crisi
attuale), fare un’affermazione secondo me decisiva e, da ultimo, esporre una
proposta per verificare quanto avrò detto nel corso di questo intervento.
Crisi
o sviluppo. Non solo non sono due
realtà contrapposte, ma spesso si richiamano a vicenda. La storia lo insegna e
lo documenta in mille modi. È forte la tentazione di illustrare questa
affermazione, ma non è questo il luogo e il momento.
Crisi
e sviluppo sono cose diverse, è vero, ma non per questo opposte o avversarie
tra loro. Neppure inconciliabili o incompatibili. Spesso addirittura sono
collegate. Quante volte le situazioni di crisi sono state la premessa e
l'occasione di sviluppo e di progresso! E quante volte - torna in ballo subito
la storia - sono state provocate delle crisi (leggi guerre) deliberatamente
proprio per ricreare condizioni di sviluppo (quasi sempre solo economico - si
badi – e a beneficio di pochi). Cinico ma vero.
Poco
meno di due anni fa, quando ormai la crisi finanziaria era scoppiata da tempo e
stava già diventando oggetto di instant
book se non, addirittura, di tesi di laurea; e quella economica si stava
già facendo feroce e quella sociale si annunciava nella beata (o beota)
incoscienza dei più [è veramente curioso e triste constatare che la gente non
riesce ad accettare la realtà finché non diventa ferocemente evidente], già
allora, negli incontri del sabato che facevamo in Confartigianato, si cominciò
a parlare di crisi come occasione per un cambiamento. Meglio: di sfida per un
cambiamento. La circostanza è la sfida attraverso cui l’uomo cresce in umanità
o regredisce al livello della bestia.
Realismo.
I dati.
La
realtà è qualcosa che si impone, quindi
non è utile né proficuo stare a discutere di chi è la colpa. È invece
indispensabile capire quali siano le cause profonde di una certa situazione.
"Molta
osservazione e poco ragionamento conducono alla verità. Poca osservazione e
molto ragionamento conducono all'errore". (Alexis Carrell)
Ogni
imprenditore sa - padri di famiglia compresi - che un'analisi non completa, che
trascuri o valuti in modo erroneo qualche dato, porta a prendere decisioni che
possono addirittura aggravare la situazione aziendale.
Occorre
un'osservazione vera dei dati, una valutazione ed un’interpretazione che siano
reali, totali, complete e convergenti.
Un
imprenditore - medico e paziente allo stesso tempo (è lui che ci rimette i
soldi se sbaglia diagnosi o terapia!) - non può permettersi di non valutare a
fondo TUTTI - ma proprio TUTTI - gli elementi.
Ecco
perché, fidando nell'attaccamento di ciascuno alla propria creatura
(l'impresa), alle creature che ne dipendono (dipendenti e famiglie relative),
alla funzione sociale dell'impresa, alle sorti della nazione, o almeno – ci
sarà almeno questo! – all'interesse per il proprio portafoglio, mi permetto di
segnalare un paio di cose che, secondo me, sono indispensabili per non barare
nell'analisi e nella diagnosi: ci rimettereste di sicuro; almeno il
portafoglio!
Realismo.
Il protagonista.
Nel
vangelo viene riportata questa frase di Gesù di Nazareth: Dov'è il tuo tesoro là sarà pure il tuo cuore.
Di
fronte ad un'affermazione così categorica si tergiversa, si dà del
fondamentalista talebano a chi la formula (senza offesa per i talebani
eventualmente presenti), si fanno mille distinguo. Ultimamente si agisce così
perché far spazio alla verità (che alla fine si impone), spesso è cosa
antipatica e fastidiosa. Infatti la verità ferisce: non siamo noi a possederla
ma è da essa che dobbiamo lasciarci invadere e possedere.
Quale
sia ciò che ritieni essere il tuo tesoro è chiarissimo e lo puoi capire senza
troppe analisi, ecografie, TAC, ecc. ecc. Dove hai il cuore? Quello è il tuo
tesoro!
"Ma
come faccio a saperlo di sicuro?!" - obietterà qualcuno.
Lo
capisci da qual è la cosa che per te è più importante, quella che salveresti
per prima o sacrificheresti per ultima.
Facciamo
un semplice esercizio partendo da questa citazione di un autore religioso del
secolo scorso.
"Ciò
che l’uomo ama viene a galla di fronte all’interrogativo, al problema, alla
domanda, alla difficoltà. [...] lo si vede, viene a galla, nel momento esatto
della prova e della difficoltà".
Ora,
tralasciando un attimo i termini altamente 'ambigui' di questa frase (Dio,
Cristo, ecc.) e sostituendoli con altri che suonano meglio (verità, libertà,
amore, giustizia, bene comune, impresa di famiglia, ecc.; sì, anche impresa di
famiglia, salute, soldi, potere e così via), proviamo a rileggere la frase.
Fate
da voi il giochino (uso tale parola per sdrammatizzare un attimo una questione
terribilmente seria!). Usiamo, ad esempio, la parola 'salute' (vostra, di un
figlio, di una persona cara) e guardate come in realtà funziona la cosa.
Tutto
questo per dire che è da pazzi vivere la vita senza obbedire alla cosa che più
di ogni altra per noi vale, tanto vero che tutti siamo disposti a sacrificare
qualunque cosa pur di salvare la cosa per noi più importante.
E
poiché - scusate se c’è un po' troppo vangelo per i gusti di qualcuno, ma
occorre pure che io mi guadagni la pagnotta! – “Nessuno può servire a due
padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro o preferirà l’uno e disprezzerà
l’altro: non potete servire a Dio e a mammona.” (Mt 6,24). Occorre essere
chiari e leali: non si può servire Dio e il denaro.
Se
lo scopo dell'impresa (ovvero della tua vita) sono i soldi, il resto verrà solo
dopo. Ma allora non ci si può lamentare della crisi. La crisi l'abbiamo creata
noi, mettendo il denaro sopra altri valori ben più fondamentali, decisivi e
duraturi.
Chiudo
questo primo punto sintetizzando: per un'analisi reale, che non porti fuori
strada, occorre essere estremamente leali nell'osservare e valutare tutti i
dati. Tra questi dati quello decisivo è qual è il padrone a cui serviamo. E non
possono essere due!
Una
volta fatto questo emergerà con chiarezza a cosa teniamo di più. La cosa a cui
tengo di più sarà quella a cui sacrificherò tutte le altre: impresa? soldi?
maestranze e situazioni ad esse collegate? nazione? altro?
L'etica
di cui si parla nel titolo di questo convegno - e siamo al secondo punto - non
è altro che l'uso di tutto in funzione del 'valore', cioè quella cosa che nei
fatti risulta essere lo scopo supremo.
Crisi
e sviluppo sono due parole; il loro contenuto sarà definito dall'etica relativa
e quindi dal valore ultimo che vorrò salvare.
Solo
come un post scriptum detto sotto
voce: se pensate di salvare soldi, impresa, potere o quel che volete, senza
tener conto in modo adeguato di elementi come maestranze, solidarietà, nazione,
ecc. sareste fuori strada alla grande. A parte che, come disse la nonna di Papa
Francesco, "la sindone (il lenzuolo funebre) non ha tasche", cioè non
ci portiamo nulla di materiale "di là", avere come scopo finale un
fattore materiale è segno, prima di ogni altra cosa, di carente
imprenditorialità, di uno sguardo corto e limitato.
Infatti,
come ogni imprenditore - anche non eccelso - sa, la risorsa uomo è sempre
decisiva, anche in attività quasi interamente automatizzate. E poiché "non
di solo pane vive l'uomo", se il "pane" è poco e la stima ed il
rispetto per la dimensione spirituale mancano in quanto neppure contemplati nel
processo produttivo, non vedo con quale 'benzina' possa funzionare a lungo un
meccanismo produttivo così impostato. Anche gli schiavi vanno in qualche misura
motivati!
Quindi
la crisi e lo sviluppo dipendono principalmente dall'etica di impresa, ovvero
dall'etica dell'imprenditore e dei sistemi in cui è coinvolto il processo
produttivo.
Se
lo scopo ultimo sono i soldi, uno dei risultati possibili è quello che abbiamo
sotto gli occhi in questi ultimi anni.
Se
lo scopo ultimo è il bene comune, cioè uno scopo sociale, i soldi verranno
usati come strumento relativo a tale fine ed il vero bilancio di un'impresa, di
una società, di un governo e di tutti gli organismi nazionali e sovranazionali
collegati sarà riferito al maggiore o minore avvicinamento allo scopo ultimo.
La
crisi attuale non è altro che il frutto di un mondo impostato secondo un certo
scopo: il profitto per il profitto. La catastrofe ne è l'esito prevedibile e ineluttabile.
Come
la storia insegna - e siamo tornati da dove eravamo partiti! - tutti i sistemi
costruiti su basi di possesso materiale come fine ultimo, non possono durare a
lungo e, prima o poi, crollano; nel loro percorso storico, per reggere hanno
dovuto ricorrere alla violenza; negli ultimi tempi - quando traballano e il
terrore invade i protagonisti della vicenda - non si può non ricorrere anche
alla peggiore violenza, la menzogna e il tradimento.
Poi,
alla fine, crollano lasciando di sé una pessima memoria ed un cumulo di
macerie.
Un
sistema non crolla per la scarsa moralità del capo o di qualche suo elemento
cardine, ma per l'intrinseca debolezza dell'impostazione del sistema stesso.
Dimostrazioni
storiche? La Chiesa Cattolica e l'impero romano e tutti gli altri imperi che
volete enumerare.
Da dove
si riparte? Da San Benedetto il vero
costruttore dell’Europa!
Tutti
conoscono o hanno sentito parlare di San Benedetto. Pochi saprebbero dire
qualcosa di Totila; eppure costui era il re degli Ostrogoti che espugnò due
volte Roma ai tempi di san Benedetto. La terza volta non gli riuscì e fu
respinto. Come ci riuscì le prime due volte? Sempre allo stesso modo: pagando i
custodi delle porte della città!
Signori,
avere come scopo ultimo il soldo .... non paga, produce violenza, ingiustizia,
corruzione.
Mettete
come scopo dell’impresa il bene comune, il bene di tutti, in particolare dei
più poveri, e vedrete nel denaro un grande alleato, negli amici veri un gruppo
imbattibile, in un gruppo unito da uno scopo più grande una risorsa che
Standard & Poor's, Moody’s o Ficht e quant’altri neppure conoscono.
E di
questi qualcuno certificò falsamente i fondamentali greci per entrare
nell’euro, un altro emise un'analisi di rating
positiva nei confronti dell'istituto
di credito Lehman Brothers appena una settimana prima del
suo fallimento e un altro ancora (o sempre lo stesso) disse benissimo di Parmalat
poco prima del suo crack finanziario.
Ognuno
serve il padrone a cui è devoto ed è devoto al padrone da cui aspetta soldi,
fama e potere.
Come
disse il buon Dostoevskij: “Quanti
padroni hanno quelli che non vogliono servire l’unico Signore!”. A noi
interessa il Signore che ci dà la vita eterna. “Ma chi te crede, che cce fai
della vita eterna – se esiste?!” - sogghignerà qualcuno. A questo qualcuno
bisogna dire che questo Signore dà anche il centuplo quaggiù! Provare per
credere.
Lasciando
ad altri la questione sulla sussidiarietà in quanto coinvolge il rapporto
cittadino/Stato, e avrebbe bisogno di ben ampia trattazione in premessa,
concludo con un'affermazione e una proposta.
L'affermazione
è che non si esce da una crisi senza affrontare il tema della solidarietà. Non
è l'unico tema, certo! Ma se li consideriamo tutti e ne tralasciamo uno, dicevo
all'inizio, andiamo fuori strada. Questa è la vera e la prima etica
dell'impresa: nella tempesta, navigando su una barca o volando in aereo (e
questa crisi assomiglia di più a questo secondo tipo di viaggio!) non ci si
salva da soli. Il mio vero bene è fare il bene di tutti. E avere il pilota
giusto.
Proposta:
in occasione di un prossimo incontro del sabato in Confartigianato, o in altra
occasione creata ad hoc, (meglio con
le ginocchia sotto un tavolo, come Gesù insegna) mi piacerebbe illustrarvi la
naturale continuazione del mio intervento, che però esula dal tema e dal tempo
previsti per questa sera.
È
ciò che ho definito altre volte, parlandone con amici, "l'affare della
vita, ovvero: come usare i soldi per ottenere quello che con i soldi non si può
comprare". Sarà un incontro della durata di almeno 3 ore con la formula
"soddisfatti o rimborsati"; se uscirete potendo dire onestamente che
non vi sarà servito a nulla vi pagheremo la cena.
In
ogni caso a nessuno sarà chiesto di dare offerte, di nessun tipo, a nessun ente
o persona, né lì, né dopo l'incontro. E neppure di pagare la cena a noi (me ed
i miei amici: si lavora in team).
Rischierete
solo di guadagnare gratis!
Anche
questa è un’etica d'impresa in tempo di crisi. Lo sviluppo ricomincia così.
Provare
per credere. Ovvero – e aridaje cor vangelo! – “vieni e vedi”.
Intervento
di Paolo Pugni (sunto)
(Paolo Pugni, amministratore delegato della
Soc. Adwice, consulente direzionale per multinazionali e grandi imprese
nazionali, è autore di diversi saggi pubblicati dalle Edizioni ARES di Milano. )
Di che
cosa parliamo quando parliamo di crisi oggi?
Che
cosa possiamo fare personalmente per capirne le cause e venirne fuori?
Come
sfruttare le occasioni che oggi si pongono?
Di sicuro sappiamo quali siano le strade per
provare ad uscire dalla crisi: vendere all’estero per aumentare le entrare e il
flusso di cassa, analizzare le condizioni bancarie, difendersi dalle forme di
anatocismo ed usura, cercare nuove strategie di promozione sfruttando anche il
web o il passaparola.
Ma non di questo vogliamo parlare questa
sera, quanto del senso del lavoro e di come una maggiore consapevolezza possa
aiutarci a tirarci fuori dalla crisi.
Patrick
Lencioni,
consulente e autore americano, invita a ricercare e perseguire la condizione di
“healthy company”, azienda sana: da tre punti di vista. Sana perché integra,
moralmente onesta e rispettosa; sana perché coerente, quindi coesa su obiettivi
concreti e condivisi; sana perché capace di una visione forte e lungimirante.
E questa visione deve nascere dalla comprensione
di che cosa sia per me il lavoro, che senso abbia: perché là dov’è il mio
pensiero, la mia visione, c’è il cuore. Ed è nel momento della crisi che questa
lucidità di priorità assumer rilievo e forza generatrice.
Tre sono nella mia esperienza i modi di
intendere e vivere il lavoro:
a)
minimalista
b)
totalizzante
c)
equilibrata
Minimalista significa che per me
il lavoro è un carcere, un mezzo scomodo e faticoso per potermi procurare i
mezzi con i quali vivere la vera vita, nei fine settimana in modo particolare.
Il lavoro dunque è castigo, obbligo forzato, da ridurre al minimo, talvolta
anche eludendolo subdolamente, perché è un giogo nella mia vita.
Totalizzante
significa
che per me il lavoro è tutto, è la priorità prima, è ciò che dà senso alla mia
vita, che deve ruotare intorno alla mia realizzazione, al mio successo. Tutto
sono pronto a sacrificare ad esso. E se
non dovessi spremerne fuori il successo che auspicavo, posso dolermene al punto
da lasciarci la vita.
Equilibrata significa che il lavoro trova posto nella mia
vita, come elemento forte, come mezzo per contribuire al bene della società e
della mia famiglia, ma non è totalizzante, ci sono valori che contano di più e
che il lavoro può aiutarmi a perseguire in modo equilibrato (tempo, energie, risorse
intellettuali).
Da ognuna di queste scelte discendono
conseguenze.
Se la mia scelta è quella di una posizione
equilibrata, sarò portato a guardare avanti, a guardare di lato per cogliere
come il mio lavoro possa partecipare al bene sociale, possa avere un ruolo
anche nella sussidiarietà. Allora prenderò in esame anche la possibilità di
costruire o entrare in una rete d’imprese per fare massa critica; allora analizzerò le situazioni, magari
facendomi aiutare, per trovare il problema e risolverlo; allora mi darò da fare
per far crescere altri professionalmente così da poter valorizzare anche il
loro contributo. Allora perderò la presunzione di sapere sempre e solo io che
cosa va fatto e come e mi aprirò a nuove prospettive e strade.
Allora delegherò e cercherò competenze anche
al di fuori della mia attuale struttura.
Allora prenderò in esame il mondo
dell’export, le nuove strategie di promozione, la rete, il passaparola.
E, alla
fine, abbiamo parlato ancora di possibilità tecniche, ma con uno spessore nuovo
e profondo per partire dal valore del lavoro .
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